Un microchip installato dentro al telaio delle bici per fermare i furti. Se venisse approvata, sarebbe la prima normativa nazionale del suo genere contro i ladri di biciclette: dopo anni di silenzio sull’argomento c’è una proposta di legge in Parlamento con l’obiettivo di contrastare il fenomeno dei furti dei mezzi a due ruote senza motore, 320mila in media ogni anno secondo i dati della Federazione italiana amici della bicicletta, per un danno economico stimato attorno ai 150 milioni di euro. Il ddl è stato depositato dal deputato del Movimento 5 Stelle Paolo Bernini, e nasce dal lavoro del collaboratore parlamentare Lorenzo Andraghetti con la consulenza delle associazioni italiane legate al mondo del ciclismo (Fiab, ANCMA, Salvaciclisti, Paolo Pinzuti di Bike Italia) e di alcuni rappresentanti istituzionali (ad esempio il comando provinciale di polizia Milano e l’assessore alla mobilità del comune di Parma).

“Per combattere il fenomeno dei furti – spiega Bernini – ci siamo resi conto che dobbiamo dare uno strumento in più alle forze dell’ordine”. In questo caso si tratta di un microchip Rfid (identificazione in radio frequenza), che i proprietari delle bici dovrebbero far installare in un punto nascosto del telaio dei loro mezzi a due ruote. Il dispositivo diventerebbe obbligatorio per i mezzi nuovi e facoltativo per quelli già esistenti. “Il microchip funzionerebbe come un certificato di proprietà”. Alle forze di polizia, città per città, lungo tutto il territorio nazionale, quindi, verrebbero forniti dei lettori in grado di identificare il codice della bici in questione, che nel caso venisse rubata, e poi ritrovata, potrebbe essere restituita al suo legittimo padrone.

La legge, infatti, prevede anche, entro un anno dalla sua approvazione, l’istituzione di una banca dati nazionale presso il ministero dell’Interno, con i dati degli utenti memorizzati in ogni microchip, consultabile direttamente dalla Polizia, mentre i Comuni dovrebbero dotarsi di lettori di microchip in un numero proporzionato alla popolazione residente, con un minimo ad esempio di trenta per i centri con oltre 800.000 abitanti. “Così, in qualunque punto del paese la bicicletta venisse ritrovata, sarebbe possibile identificarne il proprietario, che non è solo il privato cittadino, ma anche il commerciante del settore”.

Un provvedimento che prende spunto dal modello e dalla tecnologia utilizzati per combattere il randagismo di cani e gatti, per i quali è già previsto un microchip con una vita media di circa 80 anni, senza dover ricaricare o sostituire le batterie. “Si tratterebbe, però – precisa il deputato Cinquestelle – di un dispositivo da non confondere con il sistema di localizzazione Gps, quindi non rintracciabile da satellite e in grado di garantire la privacy, mentre i dati raccolti non sarebbero utilizzabili a fini fiscali”.

Tra i punti chiave della normativa ci sono le sanzioni: per chi vende biciclette senza il meccanismo di ricerca, infatti, qualora la proposta di legge ricevesse il via libera, scatterebbe una multa pari a 500 euro per ogni mezzo che ne è privo, mentre per gli esercizi commerciali che non ne verificano l’installazione al momento dell’acquisto da parte di terzi, l’ammenda salirebbe a 700 euro. Sanzione amministrativa di 700 euro e reclusione fino a tre mesi anche per chi rimuove o manomette il dispositivo. “Le somme – spiega Bernini – verrebbero destinate ad alimentare un fondo istituito presso il ministero dell’Interno per la gestione della banca dati nazionale”, per il quale sono previsti 500.000 euro per il primo anno di entrata in vigore della legge, e 200.000 per quelli successivi.

“Sarebbe un bel passo passo avanti”, è il commento delle associazioni dei ciclisti, “perché in Italia – racconta Vito Bernardo, presidente de l’Altra Babele – non c’è una normativa specifica che contribuisca a contrastare il fenomeno dei furti di biciclette, un problema che riguarda tutta la Penisola, ma davanti al quale molti cittadini si sentono impotenti”. Bologna, infatti, è stata la prima città d’Italia a dotarsi, il 28 maggio scorso, di un protocollo specifico sul tema, che, tra le altre cose, incentiva la marchiatura delle due ruote, garantisce più stalli, amplia il sistema di videosorveglianza cittadino e implementa i controlli da parte delle forze dell’ordine.

“E se a livello locale altre città stanno valutando soluzioni simili, sul piano nazionale – continua Bernardo – non è stato mai fatto nulla: non ci sono infrastrutture per ciclisti, i controlli non sono sufficienti, anche perché a rubare spesso non sono singoli ladri ma vere e proprie organizzazioni che poi portano la merce in Africa o nell’Est Europa, e la marchiatura delle bici, l’unico modo per ottenere la restituzione della propria due ruote, visto che a differenza delle auto le biciclette non prevedono un certificato di proprietà, è lasciata alla discrezione dei proprietari, che però spesso non sanno di avere questa possibilità. Non c’è da stupirsi, poi, se meno della metà dei derubati si rivolge alle autorità per denunciare il furto, o se le persone si sentono disincentivate a comprare una bici, preferendo spostarsi in macchina”.

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