Ha usato la mano pesante il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Giuseppe D’Amico, nei confronti degli imputati al processo sul voto di scambio politico-mafioso in Lombardia. Per l’ex assessore regionale Pdl, Domenico Zambetti, il pm chiede una condanna a 10 anni di carcere. E per Eugenio Costantino, che  secondo l’accusa agì da corruttore vendendo al politico un pacchetto di 4mila voti alle Regionali del 2010 al prezzo di 200mila euro, la richiesta sale a 17 anni. Il pacchetto di voti comprati, ha sottolineato D’Amico, “ha falsato il risultato di elezioni importanti come le Regionali del 2010”.  Mentre per Ambrogio Crespi, fratello dell’ex sondaggista di Silvio Berlusconi, la Procura vuole una condanna a 6 anni. Per Marco Scalambra, chirurgo della Humanitas e accusato di essere il collettore di voti per le cosche alle elezioni del 2011 a Rho, la richiesta è di 6 anni e mezzo. Concesse le attenuanti genetiche sia a Ciro Simonte (chiesti 8 anni, è considerato un uomo di Costantino) anche in virtù delle sue precarie condizioni di salute sia all’ex sindaco di Sedriano Alfredo Celeste (ex Pdl, oggi Forza Italia), imputato per corruzione. Per lui il pm chiede la pena di 3 anni e 6 mesi, “perché asservì le sue funzioni di pubblico amministratore ai corruttori Costantino e Scalambra, ma non c’è la prova che Celeste sapesse della loro appartenenza o frequentazione con ambienti mafiosi”. Il Comune, primo e unico caso in Lombardia, venne comunque sciolto per infiltrazione della ‘ndrangheta nell’ottobre 2013.

Piccolo colpo di scena al termine delle requisitoria di D’Amico, quando lo stesso ha chiesto al tribunale di inviare al proprio ufficio il verbale con la testimonianza dell’assessore regionale al Bilancio, Massimo Garavaglia, resa lo scorso luglio al processo e riguardante una vicenda legata al Tav, raccontata da ilfattoquotidiano.it. Secondo Celeste, nel 2009 Garavaglia cercò di convincere l’amministrazione di Sedriano a non comminare una multa da 3 milioni di euro al consorzio Cav.To.Mi. (la società che ha costruito una tratta lungo l’asse Milano-Torino del Tav), offrendo in cambio 500mila euro con la ‘legge mancia’. In aula Garavaglia (all’epoca dei fatti senatore della Lega e oggi braccio destro del governatore Roberto Maroni) confermò di aver sconsigliato di intentare causa contro il Tav ma negò di aver mai fatto promesse. Il pm D’Amico, ai margini dell’udienza, ha spiegato che “tale circostanza non è chiara” e che “si rende necessario un approfondimento”. Il nome di Garavaglia, di recente indagato per turbativa d’asta nell’inchiesta ha portato all’arresto dell’ex vicepresidente lombardo Mario Mantovani, potrebbe dunque finire un’altra volta in un fascicolo d’indagine della Procura di Milano.

Intanto il processo sui rapporti tra la politica e la ‘ndrangheta in Lombardia, in particolare a Milano e provincia, si avvia alle battute finali, dopo 51 udienze e 120 testimoni ascoltati. Il 25 novembre parleranno gli avvocati delle parti civili, mentre il 3 dicembre sarà la volta dei legali degli imputati. La sentenza di primo grado è attesa per aprile 2016. Per la Procura “è stato ampiamente documentato che Costantino e Scalambra lavorarono per rafforzare in provincia di Milano la cosca Di Grillo-Mancuso” e che l’ex assessore Zambetti fosse a conoscenza “dell’appartenenza mafiosa” dei soggetti che gli procurarono i voti necessari per farsi rieleggere nel 2010 al Pirellone.

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