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Come era prevedibile, non si è fatta attendere la risposta della diplomazia statunitense alle conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Yves Bot che la scorsa settimana aveva suggerito ai Giudici della Corte di annullare la decisione con la quale, nel 2000, la Commissione europea ha inserito gli Stati Uniti d’America tra i “porti sicuri”, nei quali far approdare i dati personali dei cittadini europei.

Le rivelazioni di Eduard Snowden, secondo l’Avvocato Generale Bot, avrebbero reso evidente che non vi è certezza che i dati personali che approdano negli Usa dal vecchio continente restino sottratti ai controlli di massa dell’intelligence statunitense e dunque, non vi è certezza che il diritto alla privacy dei cittadini europei sia adeguatamente tutelato.

Ed è muovendo da questa premessa che Yves Bot aveva chiesto alla Corte di giustizia di restituire alle singole Autorità per la privacy nazionali il potere di decidere caso per caso se ritenere o meno gli Stati uniti d’America un “approdo sicuro” per i nostri dati personali.

Ma l’amministrazione di Barack Obama non ci sta a lasciarsi etichettare come un Paese “a rischio privacy” e, soprattutto, non ci sta ad accettare l’idea che i giganti del web d’oltreoceano così come ogni altra impresa statunitense o meno debba passare per le forche caudine di un controllo decentralizzato condotto in autonomia da ciascuna delle 28 Authority europee per la privacy, per poter esportare dati personali negli Usa.

“Rispettiamo giudici e processi europei – scrive l’ambasciatore americano negli USA in una nota diffusa lunedì – ma l’opinione dell’avvocato generale riposa su numerose affermazioni imprecise a proposito delle pratiche di sorveglianza statunitensi”.

“Gli Stati uniti – continua l’amministrazione americana nella nota – non svolgono, né hanno mai svolto forme di sorveglianza generalizzata di chicchessia, compresi i cittadini europei comuni” e “il programma Prism che il parere dell’Avvocato generale cita è mirato contro particolari obiettivi stranieri di intelligence, è debitamente autorizzato dalla legge, e rigorosamente conforme a una serie di controlli e limitazioni pubbliche”.

Senza contare – e l’ambasciatore statunitense a Bruxelles ci tiene a sottolinearlo – che negli ultimi due anni il presidente Barack Obama ha fatto passi avanti senza precedenti nella responsabilizzazione delle agenzie di intelligence statunitensi circa le loro pratiche di sorveglianza con particolare riferimento proprio al doveroso rispetto della dignità dei cittadini americani e stranieri.

E poi la nota, come pure prevedibile, si chiude con un monito alle possibili conseguenze che verrebbero a prodursi nei rapporti tra i due paesi se la Corte di giustizia dovesse far proprie le conclusioni dell’Avvocato generale Bot: “Dati gli importanti benefici che il sistema del “safe harbor” produce sia sul versante della tutela della privacy che su quello delle relazioni commerciali a vantaggio dei cittadini e delle imprese dell’Ue e degli Usa, continueremo a lavorare a stretto contatto con la Commissione europea per migliorarlo. Ci auguriamo che la sentenza definitiva della Corte di giustizia europea prenda atto di questo impegno e delle conseguenze di vasta portata che, se si seguisse il parere dell’avvocato generale, potrebbero prodursi sulla tutela dei diritti individuali e sul libero flusso di informazioni (tra Italia ed Usa, ndr).

Il “registro” diplomatico e istituzionale non vale ad attutire il peso e il significato delle parole che l’amministrazione di Obama indirizza a quella europea: cancellare gli Usa dall’elenco dei “porti sicuri” sarebbe un errore. Ma che il partner offeso e preoccupato delle conseguenze delle altrui decisioni si difenda così, non fa notizia.

Ora la parola passa alla Corte di giustizia dell’Unione europea che il prossimo 6 ottobre dovrà decidere.

E sarà un bivio importante: mostrare ancora una volta i muscoli a difesa della privacy dei cittadini europei accettando una serie di conseguenze ineliminabili in termini di mercato o sperare che le conclusioni di Yves Bot siano arrivate forti e chiare alla Casa Bianca e valgano, da sole, a indurla a maggior rigore e prudenza almeno quando si maneggiano i dati personali dei cittadini europei?

L’opinione dell’Avvocato generale è certamente corretta nella sostanza ma è innegabile – a prescindere da quello che per convenienza scrivono dagli Usa – che in un contesto globale come quello telematico, stabilire che ogni Autorità nazionale per la privacy possa, autonomamente, accendere un semaforo verde o rosso a ogni carico di dati personali in partenza per gli Usa è una soluzione difficilmente gestibile e che minaccia di restare lettera morta per sostanziale inapplicabilità.

Servirebbe forse un lavoro veloce ed efficace di diplomazia internazionale che consenta all’Europa di tornare a fidarsi della “sicurezza” dei porti statunitensi nei quali approdano i nostri dati personali.

 

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