Il lavoro o la vita privata? Il piano straordinario di assunzioni rischia di trasformarsi in grande esodo: una migrazione forzata, tendenzialmente da Sud a Nord perché la disponibilità di cattedre è quasi tutta concentrata nelle città (e paesi, e paesini) settentrionali. La strada per il contratto a tempo indeterminato atteso per anni passa in molti casi per un trasferimento a centinaia di chilometri da casa. E migliaia di docenti dovranno scegliere. “Sono combattuta”, spiega Maria, mamma e insegnante siciliana. “Da una parte il posto fisso chissà dove, dall’altra mio marito, il mio bambino, i miei genitori. In un caso o nell’altro sento che sarà comunque una sconfitta”.

La colpa è del meccanismo con cui è stato concepito il piano straordinario di assunzioni. Nessun problema per le prime 36mila immissioni in ruolo da turnover e su posti vacanti e disponibili: i fortunati a rientrare nella “Fase zero” e nella “Fase A” verranno nominati nella provincia in cui sono iscritti in graduatoria. La questione si pone per la “Fase B“, ma soprattutto per la “Fase C“: i 55mila posti di potenziamento, le assunzioni supplementari varate dal governo per creare i nuovi organici funzionali a disposizione dei presidi. Peccato, però, che almeno il 50% dei docenti in GaE (graduatorie a esautimento) sia iscritto in Regioni del Sud o delle isole, dove le scuole sono sature. Molte nuove cattedre sono al Nord. E chi si ritrova più in basso in graduatoria dovrà trasferirsi: il modulo di domanda d’assunzione, infatti, prevede di esprimere preferenze per tutte e cento le province italiane. Al punto che molti sono tentati di rinunciare. Il termine per partecipare scade il 14 agosto e la scelta sta agitando l’estate di migliaia di insegnanti. Forum e siti specializzati intasati di richieste d’informazione. Tentativi (quasi impossibili) di quantificare le disponibilità nelle varie province per conoscere in anticipo il proprio destino.

LE STORIE – Minacce e propositi di rinuncia da parte di chi non è disposto a lasciare tutto. Maria Bertucci, sposata, mamma di un bambino di 2 anni, insegna nella scuola primaria in Sicilia: “Questa è una pagina triste della storia del precariato, il governo ha ignorato le nostre esigenze. Loro non hanno badato a nulla, avevano solo l’obiettivo di coprire dei posti. Non gliene frega nulla di noi. La mia vita potrebbe essere stravolta nel giro di quindici giorni. In famiglia ne parliamo continuamente: abbiamo deciso che se dovessi partire lascerò Palermo con il bambino; mio marito resterà qui”.

È lo stesso dramma di Francesca Quatrosi, 35 anni, due figli ancora in età scolare. Si rivolge a Renzi senza mai nominarlo: “Chi pensa ai nostri bambini? Lui non ci ascolta, non ne vuole sapere. Nel 1999 mi sono abilitata con il concorso, sono andata al Nord a lavorare; nel 2005 ho scelto di specializzarmi sul sostegno e sono tornata in Sicilia. Ora mi viene chiesto di ripartire. Parliamoci chiaro: a cosa servirà tutto questo? Una volta che sarò a Verona o a Milano, chiederò il trasferimento”.

Cristina Trifirò, 47 anni, divorziata, mamma di due giovani studenti delle superiori, ha già deciso. Se ne andrà. Non sa ancora dove e quando ma partirà: “Dopo 17 anni di precariato, buttata a destra e sinistra, ora dovrò andarmene. Insegno materie plastiche, anche a causa della diminuzione di ore nei laboratori in Sicilia sono rimaste tre cattedre. Cosa dovrei fare se non emigrare altrove?”. Come loro migliaia di docenti in tutta Italia. Ancora poche ore per decidere. Poi tutto cambierà, in un senso o nell’altro, con un semplice click.

 

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