Fausto Mesolella è un artista decisamente eclettico. Mi ricordo che la prima volta che l’ho visto, eravamo circa a tre quarti del secolo scorso, in una puntata di Doc, probabilmente l’ultimo programma musicale degno di nota, diretto da Gegè Telesforo e Monica Giannini e ideato da Renzo Arbore.

Lui era il chitarrista di una band, che all’epoca catalogai abbastanza frettolosamente come new-wave, sulla falsa riga dei De Novo, band che all’epoca mi faceva letteralmente impazzire, gli Avion Travel, in seguito Piccola Orchestra Avion Travel. Gli Avion Travel, in realtà, non mi hanno mai fatto impazzire, nonostante io ne abbia sempre risconosciuto il valore (sempre a partire da qualche tempo dopo quella puntata di Doc, chiaro). Il brano che eseguirono era Sorpassando, o una cosa del genere. Una canzone leggera, come in seguito molto raramente capiterà di ascoltare dalla band di Beppe Servillo. Da allora, anche fuori dagli Avion Travel, coi quali vincerà una improbabile edizione del Festival di Sanremo, Fausto Mesolella ha attraversato la nostra musica più o meno leggera, lasciando un segno importante con la sua chitarra, specie l’acustica. Sempre poco incline a seguire il perfezionismo fine a se stesso, Mesolella ha collaborato con tanti artisti, andando anche a dirigere, ormai da anni, uno dei festival musicali più sinceramente belli e importanti del nostro decadente paese, il Bianca D’Aponte. Un festival, questo, che prende il nome da una cantautrice scomparsa giovanissima, e che proprio per questo, per volontà del padre e dello stesso Mesolella, premia le cantautrici. Un premio che ha visto, nei quasi vent’anni di vita, alternarsi sul palco un numero imprecisato di artiste degnissime di nota.

A lato anche parecchie canzoni scritte e suonate per grandi nomi della nostra musica leggera, da Bocelli a Paolo Conte, passando per Nada, Maria Nazionale (sua la canzone portata un paio di anni fa a Sanremo, e già solo per il fatto di aver aiutato tutta quella parte della nazione che non la conosceva a conoscerla, Mesolella, meriterebbe un premio speciale), Fiorella Mannoia e Gian Maria Testa. Ma oltre a questa sua multiforme carriera, però, Mesolella ha anche una sua carriera solista. Prova ne sia Dago Red, album in compagnia di Raiz degli Almamegretta con cui ha vinto la Targa Tenco nel 2014 per gli album dialettali. Un solista che agisce in duo, è vero, ma pur sempre un solista, non solo un turnista o la parte di una band. E lui che è un chitarrista noto e apprezzato stavolta arriva nei negozi di dischi, lasciateci usare un modo di dire vintage, con un album in cui si cimenta come interprete. Sì, non come cantautore, ma come interprete, se vogliamo dare il giusto peso a chi nelle canzoni scrive i testi e non le musiche, perché, il titolo già ce lo anticipa, stavolta Mesolella sceglie la strada del cantante e sceglie come autore un autore a sua volta atipico, Stefano Benni, uno degli scrittori che più hanno dato al periodo storico in cui Mesolella, Servillo e soci si presentavano a Doc. Su Benni avrei parecchio da dire, perché quando invece che scrivere di musica mi occupavo di narrativa ho avuto la ventura di incontrarlo e proprio grazie a lui, in qualche modo, sono passato dall’essere uno wannabe all’essere uno scrittore (fu lui a volermi in Feltrinelli, quando dirigeva la collana Ossigeno, e proprio questo spinse la Mondadori, per cui prestavo opera come consulente editoriale, a mettermi sotto contratto).

Un incontro, quello col Lupo, non esattamente di quelli da incorniciare, se posso lasciarmi andare a personalismi, perché a volte il talento è accompagnato dall’ego, è vero, ma se l’ego è più ingombrante del talento, beh, allora son dolori. Sia come sia, Benni, i testi delle canzoni, o poesie che dir si vogliano, li sa scrivere, e Mesolella li ha saputi riconoscere come tali. CantaStefano, infatti, è un album in cui Mesolella incontra Benni, e in cui Mesolella si cimenta con la recitazione e il canto, più spesso il canto. L’album ferma un repertorio che Mesolella ha avuto agio di conoscere mentre portava in giro per l’Italia negli anni scorsi uno spettacolo che lo ha visto calcare il palco con lo stesso Benni, e che l’ha convinto della necessità di trasformare in canzoni poesie che altrimenti sarebbero dimaste moche. Di qui la scelta di diventare cantante, o meglio, per dirla con parole sue, dicitor cantante. L’album presenta dodici brani inediti, a partire dal primo singolo Quello che non voglio, poesia che Benni aveva scritto pensando a De Andrè ma che il cantautore ligure non ha fatto in tempo a incidere. Uscito per l’etichetta Suoni dall’Italia di Mariella Nava, CantaStefano è un album in cui l’amore di Mesolella per la musica, mai banale, sempre sghemba, si accompagna all’amore di Benni per la parola (secondo solo all’amore per se stesso). Un ottimo modo per festeggiare cinquant’anni d’amore, quelli tra Mesolella e la chitarra. Festeggiamoli con lui.

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