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Rai-Mediaset, perché chi vince negli ascolti perde negli introiti pubblicitari?

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Alla Rai gli ascolti, a Mediaset la pubblicità! È una sorta di “patto” che ha retto il sistema televisivo negli ultimi trent’anni e che ha permesso il consolidamento dell’oligopolio. La Rai si è legittimata, con la leadership negli ascolti, nel ruolo di servizio pubblico, mentre Mediaset ha consolidato, arrivando al 53% della raccolta pubblicitaria, la sua forza economica. Solo lo scorso anno, Rai ha superato, grazie ai Mondiali, il concorrente (+0,5% Rai, -3% Mediaset).

I ricavi pubblicitari degli operatori Tv (anno 2013)

mni €

Quota

Mediaset

1.730

53%

Rai

632

19%

Sky

210

6%

Cairo

136

4%

Discovery

125

4%

Alri

423

13%

Totale

3.256

100%

Fonte: dati Agcom

Com’è possibile che chi vince negli ascolti possa poi perdere negli introiti pubblicitari, considerando che la diffusione del mezzo è il prerequisito delle potenzialità pubblicitarie del mezzo stesso? Recentemente, in un servizio apparso su L’Espresso è stato messo in evidenza che Rai lamentava un taglio di fondi, da parte di Eni destinati agli spot, “penalizzando soprattutto viale Mazzini”. È la prima volta che ciò accade, perché sistematicamente, con il management Rai sempre silente, Mediaset ha spuntato più pubblicità pur registrando ascolti inferiori. Nel periodo 1990-2013, che comprende la fase del boom fino al 2000 e l’attuale fase di crisi della pubblicità, Mediaset è cresciuta più di tutti (+3,2% in media annua, mentre Rai non è riuscita a mantenere il trend dell’intero mercato pubblicitario).

Devescovi-ascolti

Questo “mistero” si è realizzato per la combinazione di più fattori, alcuni legati alle normali logiche di mercato, altri di natura extra-mercato.

Rai ha il vantaggio di avere una platea più ampia (avendo più ascolti) e, soprattutto, di avere un affollamento pubblicitario inferiore (più di un terzo in meno di spazi pubblicitari rispetto alle Tv commerciali). Una prerogativa importante poiché maggiore è l’efficacia degli spot (il ricordo dei prodotti reclamizzati è inversamente correlato al numero di spot inseriti in un blocco pubblicitario).

Mediaset, per altro verso, ha una copertura superiore sul target “adulti 25-54anni”, quello pubblicitariamente più prezioso, ed è questo un vantaggio non indifferente. Nello stesso tempo ha una rete vendita di primordine (dove Rai è invece deficitaria).

Mettendo a confronto le prerogative dei due operatori, è evidente la supremazia pubblicitaria, almeno sul piano teorico, di Rai e la disparità “ingiustificata”, seppur di entità minima ma costante nel lungo periodo, nella loro raccolta pubblicitaria.

Entrano in gioco allora altri fattori, di natura extra-mercato. E proprio l’articolo sopra citato fa supporre che vi siano stati altri casi in cui le grandi imprese, in particolare quelle pubbliche, abbiano dirottato oltre misura i propri investimenti pubblicitari verso quell’azienda il cui proprietario è stato capo del governo per diversi anni. Oltretutto i vertici delle imprese pubbliche, come si sa, sono nominati proprio dal governo! Tutto ciò è frutto del conflitto d’interessi. Chi ha incarichi pubblici e piega gli interessi generali per favorire i propri oppure per danneggiare altri, va censurato sempre. Il conflitto d’interessi è la negazione della democrazia.

Aldo Grasso, in merito agli argomenti qui trattati e alle recenti vicende dell’aumento della tassa di concessione per le frequenze Tv, giustamente suggerisce che “la prima grande riforma sarebbe quella di uscire da questo meschino gioco incrociato del conflitto d’interessi”.

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