La pratica della maternità surrogata è tornata di attualità in questi giorni dopo che abbiamo appreso che la Cassazione ha tolto a una coppia bresciana il figlio di tre anni nato in Ucraina grazie al ricorso al cosiddetto utero in affitto. Se da una parte è doveroso ricordare che in Italia la maternità surrogata è illegale e la coppia di genitori bresciani non ha rispettato neppure la legge ucraina che consente questa pratica a patto però che almeno il seme provenga dalla coppia e non da una terza persona, è giusto far notare che fortunatamente la giurisprudenza italiana non è tutta orientata nel senso della sentenza che ha condannato queste persone e ha preso la decisione estrema di togliere loro il bambino.

Io ho avuto modo di intervistare per Voltinuovi.it Sonia Cellini, una giovane donna di Bologna che, in seguito all’asportazione dell’utero per un’endometriosi tardivamente diagnosticata, si è trovata nella situazione di non poter più diventare madre e ha deciso insieme al marito Moreno di ricorrere alla maternità surrogata. Sonia mi racconta che, dopo aver ricevuto il rifiuto alla pratica dell’adozione alla quale lei e il marito avevano pensato in prima battuta, trova in rete le informazioni necessarie sui Paesi nei quali la maternità surrogata è legale e sceglie l’Ucraina perché, rispetto all’India o agli Usa, è più vicina. Sonia mi conferma che il costo per le spese mediche, l’assicurazione e il compenso alla donna che accetta di portare avanti la gravidanza si aggira intorno alle 30.000 euro e mi parla dei suoi viaggi a Kiev con il marito per seguire da vicino la gravidanza fino alla nascita dei due gemelli. E’ a questo punto che per Sonia e il marito cominciano i guai perché, per legge, l’Ucraina rilascia un certificato di nascita su cui compare che i genitori biologici sono Sonia e Moreno ma, dopo la registrazione dei due bambini al consolato, quest’ultimo, nel caso di un sospetto o di un’ammissione volontaria di maternità surrogata è tenuto, per atto dovuto, a trasmettere le informazioni alla Procura in Italia. Succede che Sonia e Moreno una volta tornati in Italia vengono iscritti nel registro degli indagati, apprendono di rischiare una pena che va da un minimo di 5 ad un massimo di 15 anni e si domandano che cosa abbiano fatto di così grave per essere considerati alla stregua di due criminali. “Saremmo potuti andare negli Stati Uniti, lì c’è lo ius soli e i bambini che nascono in America hanno automaticamente il passaporto americano. In questo modo non saremmo mai stati indagati una volta tornati in Italia. Tante coppie lo fanno e nessuno sa niente” dice Sonia che aggiunge. “Noi non abbiamo mai mentito sul fatto che io, per ovvi motivi non potevo essere la madre biologica, abbiamo detto la verità anche al console a Kiev”.

Fortunatamente nel loro caso la vicenda giudiziaria si risolve con un’archiviazione che il gip ha convalidato lo scorso settembre e Sonia è felice di essere l’unica donna in Italia a poter raccontare davanti a una telecamera la sua lotta instancabile per il riconoscimento di quelli che ritiene a tutti gli effetti suoi figli perché è lei, con il marito, che li sta crescendo con un amore immenso e una dedizione totale. Quando le chiedo se ha mai avuto paura che le portassero via i bambini, mi risponde di si con le lacrime agli occhi e mi confessa che un giorno racconterà loro tutta la storia perché ritiene di non avere nulla di cui rimproverarsi se non il legittimo desiderio di diventare mamma e dare amore ai suoi piccoli.

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