“The people in Bodo are living corpses. 

You see them alive but they are dead inside. Look at this water.”

“The aquatic life of our people is dying off.

There used be shrimp. 

There are no longer any shrimp.”

“The oil was just shooting up in the air, and it goes up in the sky”

Voci da Bodo,, Nigeria dove 15000 pescatori 

hanno fatto causa alla Shell per inquinamento in una corte di Londra.

“It looks like a World War I scene, where the oil has totally destroyed much of the local environment”

“In the minds of the Shell executives there is one law for Africa 

and another law for the rest of the world.”

Martyn Day, il loro avvocato  

Attorno alla comunità di Bodo, novanta chilometri quadrati nell’Ogoniland, si è consumato uno dei più gravi disastri ambientali della Nigeria. Fino a pochi anni fa questa era una zona pristina, con circa 50,000 residenti dediti alla pesca, non contaminata dal petrolio, ricca di fauna e si vita. Era anche una comunità relativamente prospera.

Nel 2008 iniziano perdite di petrolio da uno degli oleodotti di proprietà della Shell che attraversano le mangrovie di Bodo Creek.

Per sua stessa ammissione, la Shell ha dato l’allarme solo sei settimane dopo l’inizio degli sversamenti. Ci hanno messo in totale due mesi e mezzo per rattoppare l’oleodotto. Secondo le loro stime si trattava solo di 1600 barili di petrolio finiti nelle mangrovie. E invece i rapporti governativi parlano di circa 4300 barili di petrolio  al giorno finiti nelle mangrovie e non in totale. Passa un altro mesetto e nel dicembre del 2008 un altra perdita, che la Shell ha fermato solo dopo due mesi, a Febbraio 2009.

Il tutto è stato devastante. Gli esperti internazionali sostengono che la marea nera della Shell a Bodo abbia causato la più grande perdita di mangrovie al mondo, impattando circa sei mila ettari di costa: più o meno come l’area inquinata dallo scoppio nel golfo del Messico. La vita marina è decimata, alcune specie ittiche non ci sono più. La vita è cambiata e i residenti hanno perso l’unica fonte di sostentamento che conoscevano: la pesca.

I tentativi di limitare i danni sono stati pressoché inesistenti. Ad oggi il petrolio è ancora lì. Anzi, ha trovato la sua strada ed è migrato nei campi, nel sottosuolo. A suo tempo, la generosità della Shell consistette in: 50 sacchi di riso, 50 sacchi di fagioli, un po di cartoni di zucchero, pomodori e oli di semi. La Shell offrì anche 3,500 sterline alla comunità che li considerò un “insulto provocatorio e da mendicanti”.

Amnesty International ha accusato la Shell di avere manipolato le indagini, e di avere presentato rapporti falsi. 

Ma Bodo è solo una delle tante storie di petrolio che distrugge le vite nigeriane: fra il 2006 ed il 2010 l’oleodotto Trans-Niger ha avuto un tasso di incidenti di 130 volte superiore rispetto ad un tipico oleodotto d’occidente. Secondo la Bbc in Nigeria ci sono circa 300 perdite l’anno, quasi uno al giorno.

Nel 2011 l’Onu ha confermato il disastro ambientale in Nigeria ad opera delle ditte petrolifere – la Shell in primiscon un report che non lascia spazio ad ambiguità.  Gli esperti hanno monitorato il complesso sistema di oleodotti della Nigeria e hanno trovato che in alcune località le concentrazioni di petrolio e di benzene nell’ambiente sono centinaia di volte maggiori rispetto a quanto lecito. La sola Shell è responsabile di almeno 3000 perdite di petrolio fra il 2007 e il 2012. Secondo l’Onu, se mai si inizierà, ci vorranno almeno 30 anni e un miliardo di dollari, per ripulire i danni di decenni e decenni di riversamenti di petrolio nell’ambiente.

Una delle principali scusanti da parte della Shell è che le perdite sono quasi sempre dovute ad atti di sciacallaggio da parte delle comunità locali a scopo di furto  e che quindi non è responsabilità dei petrolieri sistemare gli oleodotti manomessi.

Entra in scena l’avvocato Martyn Day della ditta legale londinese Leigh Day che decide che di fronte a tutto questo sfacelo, non si può fare altro che portare in tribunale la Shell. E non in un tribunale nigeriano. In un tribunale londinese, chiedendo che gli stessi standard si applichino alla Nigeria come a Londra.  E’ la prima volta che succede.

E così Martyn Day si è ritrovato a rappresentare in una class action 15000 pescatori contro la Shell in una corte londinese. Le sue posizioni sono chiare: non importa chi compie e se vengono compiuti atti di sabotaggio. L’operatore deve essere sempre ritenuto responsabile dei propri oleodotti, e deve intervenire tempestivamente. Nel caso specifico di Bodo Creek, l’oleodotto doveva essere sostituito molti anni prima, perche’ vecchio e corroso.

Martyn Day sostiene che una causa di questo tipo sarà un deterrente per i petrolieri: la cura dell’ambiente viene prima dei profitti. Chiede un rimborso economico vero e non di facciata, per tutti i 15000  pescatori.

La Shell aveva ammesso la propria colpevolezza già nel 2011 ma aveva cercato di sottostimare i danni e aveva cercato di patteggiare sulle compensazioni con Martyn Day. Ai sacchi di riso infatti, la Shell aveva aggiunto 50 milioni di dollari. Questo può sembrare tanto come cifra assoluta, ma non è niente se si considera che a ciascun pescatore sarebbero toccati solo $1700 dollari.

La Shell guadagna 3 milioni di dollari l’ora.  

L’avvocato ha definito “risibili” le offerte della Shell e, d’accordo con i suoi pescatori, le ha rifiutate, continuando per le vie legali.

E cosi si arriva al 20 Giugno 2014, quando secondo un primo pronunciamento della London High Court la Shell è responsabile di tutto quello che accade ai suoi oleodotti, anche delle perdite dovute a sabotaggi e a furti se questi oleodotti non sono protetti e monitorati a sufficienza. Il giudice ha decretato che la Shell ha il dovere di installare tecnologia per monitorare le perdite, riportare eventuali problemi alle autorità, installare video di sorveglianza ed utilizzare le migliori tecnologie per evitare le perdite stesse. In Nigeria la Shell non ha mai fatto nulla di tutto questo, sebbene siano processi standard nei paesi occidentali. 

Secondo Martyn Day, questa è  una prima importante sentenza, perché fa si che la Shell non possa celarsi dietro il dito del “non è colpa mia” e fare dei distinguo su cosa vuole ripulire e cosa no.

La Shell ha rilanciato l’offerta dei 50 milioni di dollari. I pescatori hanno dinuovo rifiutato. I danni sono molto, molto maggiori.

Io sono sempre affascinata da queste persone di animo grande – come Mr. Martyn Day – che vedono le cose storte da lontano e che decidono che non si può restare in silenzio, sebbene le proprie vite, essenzialmente, non ne siano impattate. 

Il processo avrà inizio  nel 2015.

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