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Seat Pagine Gialle, chiude Voice Care. Gestisce il call center 89.24.24

Seat, unico committente, ha comunicato che pagherà solo il 20% dei propri debiti. Così l'1 maggio l'azienda cesserà le attività lasciando a casa 200 dipendenti. La replica da Torino: "Non c'entriamo nulla, la situazione dipende da errori di gestione"
Seat Pagine Gialle, chiude Voice Care. Gestisce il call center 89.24.24
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L’indotto di Seat Pagine Gialle perde pezzi. Dal 1 maggio Voice Care, che per Seat gestisce servizi di call center, chiuderà i battenti tra le polemiche: mentre la società accusa l’ex monopolista pubblico degli elenchi telefonici di avere avuto un ruolo “decisivo” nella cessazione delle attività, i 200 dipendenti in procinto di perdere il lavoro annunciano manifestazioni davanti alla sede centrale di Seat a Torino e al Comune del capoluogo piemontese. I numeri della crisi di Seat sono sotto gli occhi di tutti: un bilancio 2013 chiuso con 347,6 milioni di perdite e 1,46 miliardi di debiti, 2,4 miliardi di risarcimento richiesto dai piccoli risparmiatori nei confronti di 17 ex amministratori della società. Seat ha chiesto il concordato preventivo e proposto di saldare solo in parte le spettanze ai creditori. Tra questi, c’è anche Voice Care, società di call center del gruppo Contacta. L’azienda, con sede a Chivasso, in provincia di Torino, gestisce i servizi di assistenza telefonica 12.40 (“Pronto Pagine Bianche”) e 89.24.24 (“Pronto Pagine Gialle”), quest’ultimo reso famoso da una serie di spot con Claudio Bisio. I duecento dipendenti dell’impresa piemontese prima lavoravano direttamente per Seat, che però nel 2010 ha deciso di cedere il ramo d’azienda a Contacta, pur rimanendo l’unico committente, con un contratto in scadenza nel 2015. E proprio Contacta vanta un credito che si aggira intorno ai 2 milioni di euro nei confronti di Seat. Ma il concordato preventivo prevede la restituzione solo del 20% della somma. “A causa di ciò – si legge in una nota dell’azienda – Voice Care si è vista azzerare il proprio patrimonio netto, finendo in posizione negativa per l’ammontare dei crediti commerciali non riscossi”.

E così, il 4 marzo 2014, la società ha comunicato l’avvio delle procedure di messa in liquidazione. Una scelta obbligata, secondo l’azienda: “Prima di giungere a questa conclusione, People Care (azionista al 100% di Voice Care, ndr) ha preso in considerazione tutte le opzioni e le alternative possibili, nessuna delle quali si è rilevata percorribile”. Morale della favola: cessazione dell’attività fissata per il 1 maggio. Ma Seat Pagine Gialle rispedisce al mittente l’accusa di essere la “causa” del dissesto finanziario, sottolineando che lo stralcio concordatario, cioè il debito che non sarà pagato, “vale poco più del 2% dell’intera commessa”. “E’ palese – si legge in un comunicato dell’azienda – come Seat Pagine Gialle non c’entri nulla con la situazione evidenziata da Contacta, cioè di voler chiudere la sede Voice Care di Torino”. E passa al contrattacco: “Tale situazione dipende esclusivamente dalla gestione imprenditoriale di Contacta”.

Tra i due litiganti, chi ci rimette sono i lavoratori. “Il paradosso è che il lavoro non manca, ma sarà affidato ad altri”, spiegano dalla Rsu Uilcom di Voice Care. “Intanto, dal 1 maggio, noi dipendenti ci troveremo in un limbo: senza lavoro, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali“. Senza stipendio perché, con l’attività cessata, i dipendenti perderanno il diritto alla retribuzione. Senza ammortizzatori sociali perché, non essendo stati formalmente licenziati, i lavoratori non potranno percepire indennità di mobilità. La società farà richiesta per la cassa integrazione in deroga, ma si dovrà aspettare l’autorizzazione della Regione: un iter che non si preannuncia breve. “Ci vorranno almeno due mesi”, precisano le delegazioni sindacali. Per questo i lavoratori Voice Care, riuniti in assemblea il 23 e 24 aprile, hanno deciso di manifestare. Oltre ai presidi sotto le sedi di Seat e del Comune, è previsto anche un intervento sul palco del Primo maggio a Torino. Ma non ci sarà uno sciopero negli ultimi giorni di lavoro. “Nella condizione in cui siamo – spiegano i dipendenti – non possiamo permetterci di perdere nemmeno un giorno di retribuzione”.

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