la conchigliaCome molti siriani, Mustafa Khalifa aveva lasciato il Paese per studiare all’estero. Sono i primi anni ottanta. Mustafa, dopo diversi anni d’assenza, vuole tornare in Siria. E’ in un caffè dell’aereoporto di Parigi con Suzanne, la donna per la quale ha dei sentimenti. Sono giovani. Pensa di andare in Siria e, forse, dopo un po, di tornare e trascorrere la vita con lei. Purtroppo non sa che gli anni più belli gli verranno rubati a cominciare dalle prossime ore: passerà tredici anni, tre mesi e tredici giorni nelle carceri siriane.

Appena sceso dall’aereo a Damasco viene arrestato. Un informatore dei servizi segreti siriani -onnipresenti in tutti i paesi dove c’è una comunità siriana- a Parigi ha mandato un rapporto, denunciando Khalifa di essere un Fratello Musulmano.

Khalifa è condotto alla sede dei servizi segreti. Portato nellea stanza degli interrogatori, cominciano a picchiarlo: lo flagellano sui piedi, scorticandogli la carne. Khalifa si difende, disperato, dice “sono cristiano, per giunta ateo. Come posso essere un Fratello?”. Niente, le torture continuano. Dopo la “festa di benvenuto” -così viene chiamato il primo ciclo di torture- Mustafa viene spedito al carceri di Tadmur, Palmira: dove la famiglia Assad ha eretto l’inferno in terra. Khalifa, nel suo libro autobiografico “La conchiglia. I miei anni nelle prigioni siriane. Ed Castelvecchi”, tradotto da Federica Pistono, racconta nei minimi dettagli le torture subite e viste. Ci fa entrare con lui nella cella di venticinque metri dove, con altre cento persone, è stato rinchiuso per anni. Una cella che è diventata un mondo assestante per quegli uomini trattati come besti.

“La conchiglia” è un libro forte, proprio perché non gira intorno alla realtà. E’ una lettura indispensabile perché testimonia quella verità storica non considerata nell’odierno dibattito sulla Siria. Le torture, le esecuzioni sommarie, la reclusione di donne, uomini e bambini nelle carceri siriane è stata la base del potere della famiglia Assad.

Khalifa, proveniente da famiglia cristiana ma ateo, si pone tante domande esstenziali: Dov’è Dio? Se è onnipotente perchè non ferma i torturatori che godono nell’umiliare i prigionieri, nello strappare le carni e nel violentari donne e bambini? Dov’è l’onnipotente Dio, che tutto può, di fronte al regime siriano? Perchè non si scaglia contro questo regime che ha gettato in fosse comuni nel deserto decine di migliaia di giustiziati in mezzo secolo di terrore?

Quirico ha definito la Siria il “Paese del Male” perchè ha trasformato la sua drammatica esperienza nell’unica verità che oggi si può ricavare dal mio paese: in Siria non ci sono uomini buoni ed è, per questo, il Paese del Male. Evidentemente, è molto superficiale dire che la Siria è il “Paese del Male”, in particolare, diventa ingiusto dirlo di fronte a milioni di innocenti e a migliaia di morti. Mustafa Khalifa che ha avuto un’esperienza infinitamente peggiore di quella di Domenico Quirico, ha saputo scindere la realtà vissuta da quella oggettiva: non tutti i siriani, suoi concittadini, sono come i suoi torturatori. Non lo è sua nipote che gli darà conforto. Non lo è Nassib, giovane medico e artista, incarcerato con lui, che, una volta libero, non riuscirà a sopravvivere al dramma interiore e suiciderà- mi ha ricordato Primo Levi. 

Anche Khalifa, dopo tredici anni in carcere, diventa un uomo libero ma, come tutti i prigionieri, è cambiato. Si trova meglio da solo, protetto nella sua “conchiglia di solitudine“, a elaborare ciò che è successo. Passeggiando per le strade di Damasco, prima di scappare dalla Siria nel 2005, si chiede:
 
Quante di queste persone sanno cosa è accaduto, cosa ancora accade, nella Prigione nel deserto? A quanti di loro interessa? E’ questo popolo di cui coloro che fanno politica si preoccupano tanto? Lo esaltano, lo decantano. E’ concepibile che un popolo così notevole non sappia cosa succede all’interno del proprio paese? Se davvero non lo sapesse, sarebbe terribile; se lo sapesse e non facesse niente per cambiare le cose, sarebbe ancor più tremendo.

Fino a quando continueremo a non mettere sul tavolo il dolore di milioni di troturati, di prigionieri e di morti? Fino a quando continueremo a fare solo dibattiti sterili che lasciano fuori queste tematiche, non renderemo giustizia ai tanti morti nel silenzio, seppelliti, in questo mezzo secolo di regime, sotto la sabbia del deserto di Tadmur. Khalifa ci dona la possibilità di toccare a piene mani la sua esperienza, entrando nella sua conchiglia…quasi a sentirci dei torturati.
 
Mustafa Khalifa sarà a Roma il 28 febbraio alle ore 18 per presentare il suo libro presso la Società Dante Alighieri in Piazza Firenze 27.
Intervengono: Isabella Camera D’Afflitto, Francesca Maria Corrao e Benoit Tadié.
Modera l’incontro prof. Franco Rizzi.

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