Internet, il web, il digitale ed il futuro del nostro Paese sembrano ormai diventate cavie da laboratorio sulle quali parlamentari a caccia di visibilità e consensi, burocrati ministeriali al servizio di lobby e centri di interessi ed Authority semi-indipendenti si accaniscono con esperimenti normativi ed alchimie regolamentari, procedendo a tentoni, tra ordini e contro-ordini, accelerazioni e brusche frenate.

Qualche mese fa è stata la volta della webtax, tirata fuori dal cilindro da Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Una manciata di caratteri, tradotti in un minuscolo emendamento, infilato “a panino” nella legge di Stabilità per risolvere uno dei più complessi problemi connessi alla globalizzazione dei mercati: la fiscalità online.

Una questione che impegna e divide, da anni, ad ogni livello, in sede internazionale ed in sede europea e che l’eroico Presidente della Commissione Bilancio del nostro minuscolo Paese, ai confini del mondo digitale, avrebbe voluto risolvere in un paio di settimane, semplicemente imponendo ai giganti del web di dotarsi di una partita Iva italiana per continuare a vendere i propri servizi nel nostro piccolo mercato.

Quello che è, poi, accaduto è, ormai, noto. La webtax è stata prima ridimensionata e trasformata in spot-tax, quindi messa sotto tutela da Palazzo Chigi che ne ha congelato, per mesi, l’entrata in vigore e lotta, oggi, tra la vita e la morte, in Parlamento.

Frattanto, però, l’Italia, a dispetto dei proclami solenni – si veda, per tutti, il celeberrimo “decreto Destinazione Italia” – si è guadagnata un posto in prima fila tra i Paesi nei quali un gigante del web non metterebbe mai radici.

Nei giorni scorsi, è toccati all’On. Alessandra Moretti (Pd), – segni particolari, “nessuno” – fino a quando non va in televisione a ripetere – senza beep e pudori – l’offesa sessista rivolta alle colleghe deputate dall’On. Massimo de Rosa (M5S) e poi indirizza al Corriere della Sera una lettera nella quale tuona contro le parole d’odio e violenza che circolano sul web, annunciando di voler proporre una nuova legge per prevenire e debellare il fenomeno del cosiddetto hatespeech.

Detto fatto. Passa un pugno di ore e l’On. Moretti scrive una proposta di legge che è, in realtà, uno zibaldone di ovvietà, di norme che fanno già parte del nostro Ordinamento e di soluzioni semplici ed approssimative a problemi straordinariamente complessi.

La tutela dei minori online, il diritto all’oblio e, persino, i reati di opinione a mezzo Internet – argomento, quest’ultimo, del quale il Parlamento si sta occupando da mesi – sono le questioni che, con una manciata di norme malscritte [ndr ma ad onor del vero quella che è circolata online è solo una bozza della proposta di legge], l’On. Moretti annuncia di voler affrontare e risolvere.

Online divampa la polemica e l’On. Moretti batte in ritirata con la sua proposta di legge arrotolata sotto il braccio, rinviando, sine die, la conferenza stampa fissata per annunciarla.

Un altro esperimento, un’altra alchimia da azzeccagarbugli a caccia di popolarità e, ancora una volta, tanta confusione online ed offline ed un ritratto della Rete, raccontata a chi non la conosce, come un covo di odio e violenza sul quale occorre intervenire con leggi speciali e di esemplare rigore.

Davvero il modo migliore per convincere un Paese di analfabeti informatici già refrattari all’uso della Rete a frequentarla, conoscerla ed usarla.

Ma a ripercorrere a ritroso le ultime settimane, di esperimenti normativi e strane alchimie regolamentari se ne registrano davvero tante.

Solo un pugno di settimane fa – il 12 dicembre 2013 – l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dopo tre anni di ordini e contrordini, ha varato il nuovo Regolamento per la tutela del diritto d’autore online, autoattribuendosi la giurisdizione speciale per le violazioni del diritto d’autore sul web e sottraendola – di fatto – alle sezioni specializzate di proprietà intellettuale già operanti presso i nostri Tribunali.

Un autentico esperimento di ingegneria giuridica, senza precedenti in nessun ordinamento europeo che minaccia di fare carne da macello della libertà di informazione sul web e di trasformare gli intermediari della comunicazione in sceriffi della rete.

Ma non basta.

Perché solo un autentico miracolo di buon senso istituzionale – quello del Ministro Massimo Bray negli stessi giorni ha, almeno sin qui, scongiurato il rischio che il Ministero dei beni e delle attività culturali lasciasse che la Siae – la società italiana autori ed editori – scrivesse di proprio pugno le nuove tariffe del cosiddetto equo compenso per copia privata ovvero l’importo che la legge stabilisce venga pagato su supporti e dispositivi destinati ad essere utilizzati per l’esecuzione di copie personali di opere musicali o cinematografiche legittimamente acquistate.

Siae avrebbe voluto – ed in realtà continua a volere – che il Ministro aumentasse in modo stratosferico tali tariffe, applicandole, in misura salata, anche su smartphone e tablet ovvero su dispositivi che difficilmente vengono utilizzati per effettuare copie private giacché, normalmente, gli utenti li usano per riprodurre brani musicali e film dei quali hanno acquistato proprio il diritto a fruirne attraverso tali dispositivi.

Il Ministro, però, ha voluto capirci di più ed ha commissionato uno studio per verificare se e quanto i consumatori italiani utilizzino davvero iphone e ipad per eseguire copie private e quanto, di conseguenza, sia giusto “tassare” anche tali dispositivi.

Per ora, l’esperimento, è stato, quindi, sospeso ma riprenderà nei prossimi giorni.

L’elenco di alchimie giuridico-regolamentari come queste, purtroppo, è lungo e si perde nella memoria degli ultimi anni.

E’ chiaro, tuttavia, che è arrivato il momento di smetterla di usare la Rete come laboratorio per esprimenti ad alto rischio democratico che, generalmente, producono un basso risultato concreto e tanto rumore per nulla.

Si tratta, infatti, di un rumore che determina confusione ed incertezza nelle regole e frena, pertanto, l’uso e lo sviluppo del web nel nostro Paese.

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