Dieci anni a chi rivela segreti di stato, cinque a chi sollecita, anche senza ottenere risultato positivo, che vengano rivelati, in qualsiasi forma. Tempi duri per la libertà di informazione in Giappone, Paese che fino ad oggi era – grazie ad una lacuna legislativa mai colmata nel dopoguerra – uno dei paesi meno formalmente repressivi nei confronti del diritto di cronaca e di accesso alle fonti di informazione. D’ora in avanti, invece, diventerà uno dei paesi più a rischio per i giornalisti e per tutti coloro che vorranno esercitare il diritto/dovere di informare. La Camera bassa del Parlamento giapponese ha approvato martedì scorso, dopo una inusuale maratona notturna, la controversa proposta di legge governativa sul “segreto di stato”, fortemente voluta dal premier Shinzo Abe su pressione degli Stati Uniti. Stufi, si dice, di una burocrazia, quella giapponese, incapace di mantenere i “segreti”.

Se la Camera alta nei prossimi giorni confermerà l’approvazione – cosa che appare scontata data l’ampia maggioranza di cui gode il governo – la proposta diverrà legge e “tutto sarà maledettamente più difficile, se non pericoloso” per dirla con Takashi Uesugi, popolare giornalista free-lance e fondatore dell’Associazione stampa libera giapponese. “Se continuerò a lavorare come ho sempre fatto – dice – verrò sicuramente arrestato”. L’aspetto più preoccupante della nuova legislazione è l’indeterminatezza del concetto di “segreto di stato” e la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di imporlo, di volta in volta in modo pressoché arbitrario. Basterà, tanto per fare un esempio, che il Ministero della Difesa o dell’Industria ravvisi la sensibilità di alcune informazioni ai fini dell’interesse nazionale, politico o militare, per impedire o rendere comunque molto difficile la divulgazione di dati relativi all’emergenza nucleare tuttora in corso a Fukushima. La legge prevede anche la costituzione di una sorta di Consiglio Nazionale per la Sicurezza, sul modello di quello esistente negli Stati Uniti, che diventerà l’organo supremo responsabile per l’imposizione o rimozione del segreto di stato.

“E’ un enorme passo indietro e al tempo stesso una pericolosa accelerazione verso una nuova era fondata sull’autoritarismo – ha dichiarato l’ex premier democratico Naoto Kan, tra i pochi, in questi giorni, ad essersi battuto anche ricorrendo alla poche forme di ostruzionismo consentite dai regolamenti, contro l’approvazione della legge. “D’ora in poi sarà sempre più difficile, per la stampa e dunque per i cittadini controllare il processo decisionale del governo e, nel caso, contestarlo”. Unanime la condanna dei mass media, anche quelli più conservatori come i quotidiani Yoniuri e Sankei, e del mondo accademico. “E’ l’incubo della destra revanchista, mai sopita in questo paese, che si fa realtà – spiega Lawrence Repeta, docente di diritto costituzionale presso l’università Meiji di Tokyo – il governo di Abe sta accelerando il suo processo di revisione costituzionale, approfittando del diffuso disinteresse dei cittadini per la politica”.

Duro il commento di Takichi Nishiyama, uno dei pochi giornalisti ad essere stato arrestato e condannato, nel dopoguerra, per la pubblicazione di materiale coperto da segreto di stato, relativo alle trattative segrete intercorse negli anni ’70 tra Stati Uniti e Giappone per la restituzione della sovranità sull’isola di Okinawa. “Non c’era certo bisogno di approvare una nuova legge – ha detto Nishiyama, che a suo tempo riuscì a pubblicare solo una minima parte del materiale riservato di cui era venuto in possesso grazie ad un ex diplomatico – in questo paese è già abbastanza complicato procurarsi le informazioni. Vogliamo tornare agli anni ’30, quando oltre 100 mila persone vennero arrestate, e molte di loro torturate, per aver violato la legge?”.

La Repubblica tradita

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