Inutile che cerchiate sul sito del ministero della Difesa. Il giorno 8 luglio 2012 non è successo nulla. Né la pagina delle news del ministro, né quella del Capo di stato maggiore della Difesa riportano infatti alcunché di significativo per quella data. Il 16, invece, viene dato molto rilievo al Campionato interforze di salto ostacoli tenutosi all’Arezzo Equestrian Centre. Vuoi mettere l’emozione? E il 17 c’è l’orgoglioso annuncio che il titolo iridato di slalom in canoa è stato vinto da Lukas Mayr della Marina Militare. Ma per l’otto luglio, una calda domenica estiva, non c’è nessuna notizia degna di questo nome. 

O almeno non ce n’è secondo la Difesa. Perché il ministero degli Esteri etiope ci fa invece sapere che proprio quella domenica Mahmoud Ali Youssouf, ministro degli Esteri di Gibuti, ha firmato un accordo con “un rappresentante del ministero della Difesa italiano” per la costruzione di una base militare italiana in questa enclave del Corno d’Africa. 

Ohibò, una bella base in Africa, per di più in una delle zone più calde e turbolente dell’area, e qui da noi nessuno dice un fiato? Neppure uno straccio di comunicato, due righe di agenzia? Mica uno pretende che venga informato il Parlamento. Ci mancherebbe: non vogliamo copiare gli Stati Uniti, no? E poi, avrà pensato l’astuto ammiraglio-ministro Di Paola, allora regnante in via XX settembre, agli italiani che gliene importa? Sicuramente d’accordo in questo con il plurititolato Terzi di Sant’Agata e con il professorale Mario Monti, anche loro per fortuna oggi scomparsi dai nostri orizzonti politici. 

Il bello di Internet, come ci sta spiegando Snowden e prima di lui Assange, è che quello che succede qui avviene ovunque e in contemporanea. Siamo tutti glocal, locali e globali. E così, grazie agli etiopi, possiamo venire a sapere quello che il nostro Governo ostinatamente ci tace: una ottantina di anni dopo, nostri orgogliosi soldati ritorneranno in quelle terre strette tra Somalia, Etiopia ed Eritrea. Il Destino ci spinge verso quella terra. Nessuno oserebbe opporsi al Destino. Nessuno può piegare la nostra inesorabile volontà (Mussolini a Tripoli, aprile 1926).

In verità, negli ultimi due anni ci sono stati dei segnali di un sospetto attivismo italiano, giustificato ufficialmente da un trattato di cooperazione militare firmato dieci anni fa. Nel 2012, nell’ambito del decreto sulle missioni all’estero, abbiamo ceduto al governo di Gibuti materiale militare per 430 mila euro: 10 barchini, 40 autocarri pesanti ACM-80 dell’Esercito italiano, 4 veicoli VM90T e vario altro materiale. Un anno dopo, sempre col decreto omnibus sulle missioni, e visto che nessuno sembrava aver obiettato alcunché sul primo, abbiamo calcato la mano: 1,1 milioni di euro di materiali che comprendevano questa volta anche 10 obici semoventi cingolati da 155 mm M109L e 4 blindati Puma. Cosa se ne faccia un Paese che ha meno di 800 mila abitanti di dieci cannoni semoventi non è chiaro. In proporzione l’Italia dovrebbe averne almeno 750 (ne abbiamo meno di 150). Sempre a Gibuti abbiano mandato una ventina di carabinieri che ufficialmente addestrano le forze di polizia

Gibuti è già affollata di militari di mezzo mondo. C’è Camp Lemonnier, che ospita la statunitense Combined Joint Task Force Horn of Africa (CJTF-HOA). Ci sono poi le Forces françaises stationnées à Djibouti (FFDJ) con la più grande base militare di Parigi all’estero, presenza storica in questa ex colonia transalpina. Entrambe le strutture sorgono a ridosso dell’aeroporto civile della capitale. E da qui gli americani operano, oltre a svariati altri tipi di aerei pilotati, anche quegli aerei senza pilota che, oltre a svolgere missioni di ricognizione, portato a segno i loro micidiali raid armati in Yemen, Somalia, Sudan e altrove. Un’attività così intensa da aver messo più volte in pericolo il traffico aereo civile.

La base italiana dovrebbe nascere a ridosso delle due strutture alleate. Anzi, secondo il sito specializzato bruxelles2.eu, il nostro avamposto in terra d’Africa sorgerà nei pressi dell’enorme deposito munizioni dei francesi, installato a nord est dell’aeroporto e ben visibile sulle foto satellitari disponibili su Google o Bing. Secondo lo stesso sito una breve bretella potrà mettere direttamente in comunicazione la base con la pista di volo, così da rendere ipotizzabili nostrane operazioni dei velivoli Predator o Reaper teleguidati dall’aeroporto pugliese di Amendola.

Il sito aggiunge anche un dettaglio succulento: la base costerà all’Italia, di solo affitto, la bellezza di 30 milioni di euro. Non mi stupirei di vederli spuntare nella prossima proroga delle missioni militari all’estero, o magari ben nascosti dentro qualche programma di cooperazione. 

Ora, la domanda da farsi è: a cosa ci serve Gibuti? Posto che la base non nasce, almeno non principalmente, per supportare le operazioni delle nostre navi nell’area (partecipiamo sia alla missione europea Atalanta che a quella NATO denominato Ocean Shield) visto che non ha accesso al mare e la flotta già utilizza il porto della capitale gibutiana, la sua missione sarà probabilmente quella di svolgere operazioni contro le varie emanazioni dell’estremismo islamico che operano nell’area. In totale sintonia e accordo con gli alleati a stelle e strisce (gli stessi che ci piantano le cimici e peggio nelle nostre ambasciate), che hanno già in Italia le due basi fondamentali per le operazioni nel continente nero dell’Africa Command: Vicenza e Sigonella. E che, secondo il Washington Post, pensano di fare di Gibuti la loro principale base nell’area almeno per i prossimi 25 anni. Con noi, felici e spensierati, al traino. E adesso, tutti in coro: Faccetta nera/Bell’abissina/Aspetta e spera/Che già l’ora si avvicina!

(P.S.: Leggo ora che il Consiglio supremo di Difesa appena concluso ha detto che l’F-35 non riguarda il Parlamento. Decide solo il Governo. Ah, le belle anime di quelli che fanno le mozioni “equilibrate” ed “equilibriste”)

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