La Slovenia una nuova Cipro? La voce gira da settimane: il piccolo Paese, un tempo la “Svizzera di Yugoslavia”, si trova in grosse difficoltà finanziarie, a causa dei problemi delle banche, che vedono lievitare i propri prestiti inesigibili, prodotto soprattutto dello sboom immobiliare, che ha fatto seguito a un lungo periodo di crescita economica sfrenata. Gli ultimi a suonare il campanello d’allarme sono stati l’Ocse e l’Iif (Institute for International Finance), l’associazione delle principali banche mondiali. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico le necessità di ricapitalizzazione per salvare il sistema finanziario sarebbero superiori al previsto. A soffrirne di più (e sarebbe ancora peggio se si andasse verso una bancarotta vera e propria) sarebbero le banche dei Paesi che sono esposti in misura maggiore verso gli istituti sloveni. L’Italia in prima linea.

In un rapporto sulla Slovenia appena pubblicato, l’Ocse prevede per il 2012 una contrazione del Pil, il Prodotto interno lordo, del 2,1%, peggiorando ulteriormente le stime fatte nei mesi scorsi da altri organismi. Ma, al di là dell’economia reale, preoccupa soprattutto lo stato di salute del comparto creditizio. E’ vero che, se a Cipro gli asset bancari ammontano al 710% del Pil, in Slovenia rappresentano “appena” il 145 per cento. Ma nel Paese alle porte dell’Italia il rapporto tra i depositi e i prestiti è del 153% contro il 105% nell’isola del Mediterraneo.

E, secondo le stime ufficiali slovene della fine dell’anno scorso, almeno il 20% del totale del valore dei crediti sarebbe stato concesso a clienti che ormai non possono più ripagarli: come dire, più di sette miliardi di euro. Ritorniamo al rapporto dell’Ocse. Sottolinea che quella stima è superata, anche perché è stata effettuata utilizzando una metodologia poco affidabile e trasparente. Conclusione: “I bisogni di nuovi capitali degli istituti sloveni sono incerti e sarebbero nettamente superiori rispetto a quelli già stabiliti”. Insomma, molto più di un miliardo di euro, che è la valutazione effettuata dal Fondo monetario internazionale. Forse più vicini alla cifra dei quattro miliardi che gira da tempo, come stima ufficiosa.

L’Ocse approva una delle soluzioni cui Lubiana sta ricorrendo per fare fronte all’emergenza, ossia la creazione di una band bank dove far confluire tutti gli “asset spazzatura” delle banche. Era stata l’idea promossa dal premier conservatore Janez Jansa, al potere fino al 20 marzo scorso. E che è stata confermata dal suo successore, una donna, Alenka Bratusek, alla guida di un Governo di centro-sinistra. Ma l’organizzazione internazionale, con sede a Parigi, storce il naso rispetto al “come” venga realizzata questa bad bank, criticando “la mancanza di trasparenza e i rischi di interferenze politiche”.

Non bisogna dimenticare che tre dei primi quattro istituti di questo Paese di due milioni di abitanti sono pubblici. Per l’Ocse, bisognerebbe procedere a nuovi “stress test” di ogni banca, per capirne la reale resistenza a un eventuale patatrac. E in seguito a una loro ricapitalizzazione e anche, appena possibile, a una privatizzazione dei gruppi statali. Adesso, comunque, va tamponata l’emergenza, che è reale: i titoli di Stato sloveni a 10 anni hanno ormai rendimenti che superano la soglia della sostenibilità, quella del 6%. E i Cds (derivati che scommettono sul default del Paese) hanno visto aumentare il loro valore del 66% in due settimane.

Secondo l’Ocse, almeno per il momento, la Slovenia può fare da sola, anche per assicurare la ricapitalizzazione delle banche, sebbene la situazione possa evolvere rapidamente, pure in senso negativo. In realtà per Bank of America Merrill Lynch (BofA) sarebbero necessari fra sei e otto miliardi di euro di aiuti internazionali. E l’Iif, che raccoglie le banche a livello mondiale, già regista della ristrutturazione del debito greco, ha esortato Bruxelles a intervenire subito con aiuti ad hoc. “La Slovenia – si legge in uno studio dell’Iif – ha bisogno di un intervento immediato della Ue per mettere in sicurezza le sue finanze. Più si rinviano le decisioni, più salirà la pressione sul credito del Paese”.

Intanto tremano a Lubiana. Ma tremano anche le banche straniere che più sono esposte rispetto agli istituti della Slovenia. Non si tratta della solita Germania, che ha un’esposizione di 3,1 miliardi contro i 7,6 verso Cipro. Stavolta a tremare sono soprattutto l’Austria (12,6 miliardi di euro contro gli 0,9 nel caso di Nicosia) e l’Italia (7,6 contro 1,3). Sarà anche per questo che nel caso della Slovenia la cancelliera Merkel sembra essere meno preoccupata e darsi nettamente meno da fare rispetto alla crisi dell’isola. Mentre a Roma sono ovviamente distratti da altro. Le principali banche italiane coinvolte su quel mercato sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. La prima controlla al 97,5% Banka Koper, che detiene il 4,7% del mercato sloveno. La seconda, invece, ha il controllo (attraverso la sua filiale austriaca) del 99,95% di Unicredit Banka Slovenija, che a sua volta ha una quota di mercato del 6% sul totale.

Insomma, non si tratta di istituti marginali. Va detto che, sulla base dei conti 2012, resi noti negli ultimi giorni, le due banche presentano apparentemente condizioni di salute migliori degli istituti più grandi, soprattutto quelli pubblici, gravati da pesanti perdite: Unicredit Banka Slovenija ha chiuso l’anno scorso con un utile netto di 1,1 milioni e Banka Koper di 7,2 milioni (ma in calo del 59,3%). L’agenzia di rating Fitch ha appena declassato le obbligazioni delle principali banche del Paese, comprese Nova ljubljanska banka e Nova kreditna banka maribor, entrambe dello Stato, scese rispettivamente a BBB- e BB-, ormai quasi al livello di bond spazzatura. E nel contempo Fitch ha deciso di lasciare Banka Koper a quota BBB. La situazione, comunque, resta a rischio per tutti. A Lubiana sono tutti con il fiato sospeso. Sperando che la situazione non degeneri.

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