“L’imbarazzante” rapporto del Parlamento italiano sulla pirateria digitale. Proposta la cancellazione automatica dei siti web e la rimozione dei link, a richiesta dell’interessato, dai motori di ricerca. Il provvedimento integrale.

La Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria commerciale del Parlamento Italiano, presieduta dall’On. Gianni Fava, leghista, già balzato agli onori della cronaca per alcune proposte normative alquanto criticate dal mondo del web, ha presentato la relazione conclusiva al Parlamento. Il 22 gennaio scorso la Commissione ha approvato la relazione sulla pirateria digitale in rete.

Senza entrare nel merito del fenomeno della contraffazione (che non  ha nulla a che vedere con la violazione del copyright digitale), appare utile verificare le affermazioni della stessa Commissione per le implicazioni che tale relazione conclusiva ha sul web.

Chi scrive ha letto, ovviamente, il Provvedimento integrale. La Commissione spende più di 60 pagine nel delineare lo scenario della pirateria digitale nel nostro paese riservando al lettore notevoli sorprese, alcune delle quali riguardano i numeri forniti dalla stessa commissione a sostegno della necessità di reprimere quella che la stessa commissione ritiene essere la pirateria multimediale. Tutte le informazioni ed i numeri forniti, sono infatti- ed è precisato nelle note in calce al rapporto- mutuate da chi è stato audito, le cui identità sono riportate con nome e cognome. Si tratta nella stragrande maggioranza dei rappresentanti delle associazioni di tutela del diritto d’autore, ovvero di coloro che sono interessati a fornire una immagine precisa del fenomeno.

I dati espressi dalla Commissione sono infatti dati per buoni sulla base delle semplici audizioni compiute e appare quindi  utile, vista la moda del momento, effettuare il fact-checking sul rapporto conclusivo. La Commissione, dando per buono quanto riportato da un soggetto nel corso di un’audizione, quantifica i danni derivanti dalla pirateria multimediale in 500 milioni di euro.

Il dato peraltro è già  stato smentito dall’economista della Washington University, Michele Boldrin che, di fronte alla cifra di 500 milioni di euro di perdite a causa della pirateria in un’intervista al giornalista Fabio Chiusi per il settimanale l’Espresso aveva effettuato questo ragionamento: «per una ragione che sanno anche i sassi: sono cifre a cui si arriva immaginando che chi ha ascoltato musica scambiandola con altri via internet senza il download l’avrebbe comprata, ai prezzi di monopolio di circa 20 euro per cd che le compagnie musicali impongono grazie al copyright». 

In altre parole, argomenta Boldrin, autore insieme con David Levine di un recente volume intitolato ‘Abolire la proprietà intellettuale‘, gli studi assumono che scambiarsi dieci dischi via Internet significhi che avremmo speso 200 euro per acquistare le copie scambiate. Ma ciò «vuol dire non capire che, lungo la curva di domanda, la quantità acquistata aumenta al diminuire del prezzo. La qual cosa, per un monopolista, è mancanza grave».

L’organo parlamentare non cita alcuno studio nazionale od internazionale, quello della fondazione Einaudi del 2006 ovvero quello fornito dal governo olandese nel 2009, o anche semplicemente gli studi internazionali effettuati nel 2012, secondo i quali l’industria dell’intrattenimento ha subito un forte aumento negli ultimi dieci anni.

Secondo l’ultimo degli studi citati ad esempio il fatturato del settore della musica sarebbe passato da 132 miliardi di dollari nel 2005 a 168 miliardi nel 2010, mentre il settore globale dei videogames ha visto l’aumento del fatturato dai 20 miliardi di dollari nel 2000 sino agli 80 miliardi di dollari . La Commissione non si è peritata, nonostante “l’intenso” lavoro svolto, di leggere il fondamentale studio Copy Culture” della Columbia University, che è liberamente (nonostante il copyright) scaricabile in rete. La Commissione riporta una sola fonte, peraltro indicata da uno dei rappresentanti dell’industria, uno studio Commissionato dalle major dell’intrattenimento, secondo le quali si avrebbero la perdita di 611 milioni di posti di lavoro in Europa di cui 22 mila in italia nel 2015.

Anche questo studio però ha rivelato gravi pecche. Secondo alcuni studiosi infatti i numeri sulle perdite di posti di lavoro di TERA portano ad assumere che le perdite da pirateria ricadano solo sulle compagnie europee. Per film, musica e software, tuttavia, questo è palesemente errato. Gli studios di Hollywood controllano l’80% del mercato dei film nell’Unione Europea. Microsoft e molte altre compagnie americane di software hanno una quota di mercato ancora più alta nelle categorie chiave del software di produttività. L’impronta globale di molte di queste compagnie rende la suddivisione dei flussi di reddito difficile, ma la dinamica sovrastante è semplice: per le importazioni di proprietà intellettuale, le vendite legali rappresentano un flusso in uscita per l’economia nazionale. La pirateria della proprietà intellettuale importata, per contrasto, rappresenta un guadagno di benessere nella forma di accesso espanso a beni di valore. (Scialdone-Brini 2011)

In altre parole la Commissione sulla contraffazione nel proporre soluzioni a tutela del “made in Italy” favorirebbe, se le proposte normative proposte all’assemblea del Parlamento da parte della stessa Commissione fossero approvate, non le imprese italiane ma le grandi major d’oltreoceano.

E veniamo alle colpe di tale stato di cose e alle soluzioni proposte dalla stessa Commissione.

Incredibilmente la Commissione individua, riportando peraltro le ragioni di chi ha effettuato le audizioni, i motivi di questa emorragia e della assenza di regolamentazione in tema, nell’azione nelle lobby degli intermediari della rete. Afferma incredibilmente la Commissione: “in occasione di alcuni recenti tentativi legislativi di modifica della normativa nazionale sul tema, si è assistito ad una vera e propria levata di scudi da parte di soggetti e gruppi di interesse legati al mantenimento dello status quo”.

Gli intermediari della rete hanno quindi dimostrato di possedere un enorme potere di lobbying, che sembra-finora-avere prevalso sulle ragioni politiche che spingevano, invece, per un cambiamento di rotta in tal senso, avendo, di fatto, impedito qualsiasi decisione al riguardo”

Secondo la Commissione, che dimentica l’esistenza delle potentissime lobby dell’intrattenimento internazionale, che sono arrivate a minacciare il presidente americano Obama in occasione del veto posto dallo stesso presidente all’entrata in vigore della contestata proposta normativa denominata SOPa negli States, quindi esisterebbe una potentissima “spectre”   composta dagli  intermediari di rete. Ma attenzione ce ne è per tutti: la colpa per la Commissione è infatti del “movimento d’opinione che a livello globale rigetta l’idea che per la fruizione della cultura e dell’informazione in rete si debba pagare un prezzo, ha dimostrato tutto il suo peso politico in occasione della proposta di accordo ACTA, che è stata respinta del Parlamento Europeo”.

E vediamo gli auspici della Commissione “ In realtà anche alla luce delle indicazioni pervenute alla Commissione nel corso delle numerose audizioni svolte. Sarebbe auspicabile un vero e proprio blocco del sito internet da parte degli utenti interessati” che dovrebbe essere adottato tramite gli internet service provider. In assenza di qualsivoglia provvedimento della magistratura i provider dovrebbero quindi bloccare, a richiesta dell’interessato un sito web. Ma neanche questo  basta.

E allora la Commissione prevede che la rimozione di contenuti sgraditi debba essere direttamente effettuata  nei confronti del motore di ricerca (quindi Google per intenderci n.d.r.). Dice la Commissione “L’unico soggetto veramente in grado di non indicare le strade per arrivare al file illegale sia il motore di ricerca”. “Potrà essere quindi il motore di ricerca a non restituire, fra i risultati della ricerca per qule file, gli indirizzi attraverso i quali sia possibile arrivarvi.”

Certo. A semplice richiesta di un qualsiasi soggetto quindi Google dovrà eliminare i risultati dai motori di ricerca.

Niente magistrati, non servono. Non paghi di tutto ciò i membri della Commissione, che hanno sollecitato il Parlamento ad adottare le norme proposte, si auspicano la continuazione nella prossima legislatura dell’intenso lavoro della Commissione.

Secondo l’Onorevole Deborah Bergamini, vicepresidente della Commissione “l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla contraffazione” è stato uno degli atti politici più rilevanti di questa legislatura”.

Al lettore peraltro non resta che sperare che nella prossima legislatura gli atti politici siano suffragati da adeguato riscontro documentale.

Articolo Precedente

La7, Cairo: “Se me la vendono, Santoro e Mentana non si toccano”

next
Articolo Successivo

Monti dall’austerità all’amatriciana

next