Dalle privatizzazioni Telecom, Enel, Autostrade ed Ente Tabacchi l’Italia avrebbe potuto ricavare molto di più. E magari così intascare denari utili all’abbattimento del debito pubblico. L’analisi della Corte dei Conti, nella delibera 19 del dicembre 2012, sul lavoro svolto in quindici anni (dal 1993 al 2008) dal Comitato di garanzia per le privatizzazioni è decisamente amara. Soprattutto in tempi di crisi in cui vengono chiesti sacrifici ai cittadini.

Per la Corte, infatti, l’obiettivo di far cassa, ha a volte ”condizionato” l’operato e ”ciò potrebbe aver determinato in alcuni casi la non piena valorizzazione degli asset anche in termini di ristrutturazione produttiva delle imprese interessate”. Un piccolo appunto dei magistrati è diretto dunque al Comitato che, in quegli anni, era composto da nomi illustri del panorama finanziario italiano e internazionale come l’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, già numero uno del Comitato fra il ’93 e il 2001 prima di diventare responsabile per l’Europa della banca statunitense Goldman Sachs.

Ma anche Piergaetano Marchetti, a lungo notaio del salotto buono della finanza italiana; Rosalba Casiraghi, consigliere indipendente di Intesa Sanpaolo; Gian Maria Gros Pietro, presidente di Atlantia, società cui fanno capo Autostrade per l’Italia e manager vicino alla famiglia Benetton che, oltre alla rete viaria principale del Paese, controlla anche gli Aeroporti di Roma (Ciampino e Fiumicino).

Ma i rilievi della Corte non finiscono qui: i magistrati ritengono che il Comitato, negli anni in cui sono avvenute le più importanti partite di privatizzazione del Paese, non sarebbe stato particolarmente vivace. ”In alcuni dei casi esaminati si è avuta la conferma – scrivono i giudici – di una tendenza del Comitato ad avvalorare il parere espresso dai consulenti dell’Amministrazione, finendo coll’assumere un ruolo quasi formale, senza esercitare compiutamente quella funzione di indirizzo che il quadro normativo gli attribuisce” come, ad esempio, nei casi di Telecom ed Enel.

E le operazioni si sarebbero svolte in un contesto in cui ”la cerchia dei soggetti tecnici a diverso titolo (global coordinator, advisor, valutatore, ecc.) coinvolti nei processi di privatizzazione sia stata alquanto ristretta” con istituti di spicco come Mediobanca, Goldman sachs, Morgan Stanley, Rothschild, Euromobiliare, Merrill Lynch. E, come se non bastasse, alla fine, le operazioni di liberalizzazione non avrebbero portato neanche poi a quel beneficio per i cittadini sperato da molti: ”in uno scenario caratterizzato da forme più o meno ampie d’influenza pubblica sulle imprese che ha dato vita ad un sistema di mercato non compiutamente liberista, diversamente da quanto auspicato dai più radicali sostenitori dei principi della libera concorrenza”, conclude la Corte.

Nel dettaglio della delibera della Corte dei Conti emergono poi i punti deboli dell’operato del Comitato per ogni singola privatizzazione presa in esame. Per Telecom Italia, l’incasso per la cessione del 49,17%, pari a 9,6 miliardi ha espresso una plusvalenza del 24,83% che ”soltanto in parte sembra corrispondere alle plusvalenze potenziali del patrimonio immobiliare posseduto”.

Per i magistrati, ”se, infatti, si tiene conto delle quotazioni immobiliari dell‘epoca e si considera che buona parte degli immobili erano ubicati in zone centrali delle diverse città italiane, si dovrebbe pervenire a valutazioni sensibilmente maggiori di quelle implicitamente espresse nei controvalori realizzati a seguito della cessione azionaria”. E del resto per la stessa Telecom di Franco Bernabé il solo valore della rete è di 15 miliardi , debiti inclusi. In altre parole, ”il Comitato e gli advisor non hanno preso in considerazione la problematica della rivalutazione dei cespiti patrimoniali anteriormente all‘operazione di privatizzazione” evidenzia la Corte.

Nella privatizzazione dell’Enel, i magistrati esprimono ”perplessità” sulle verifiche delle raccomandazioni impartite dal Comitato. ”Così, ad esempio, nessun riscontro è stato possibile ottenere in sede istruttoria rispetto all‘attuazione delle indicazioni fornite dal Comitato sulla misura delle commissioni complessive da corrispondere ai global coordinator Merril Lynch e Mediobanca che avrebbero dovuto essere non superiori a quelle praticate nel collocamento Enel del 1999 (verbale del 3.08.2004)” scrivono i magistrati.

Per il caso Autostrade, privatizzata nel 1999 dall’Iri, con l’ingresso nel capitale della holding Schemaventotto della famiglia Benetton per il 30% e il collocamento in Borsa del restante 70%, la Corte dei Conti sottolinea come ”un primo aspetto che va evidenziato concerne le ragioni, non chiarite in sede istruttoria, che hanno indotto a preferire (cfr. verbale 20 marzo 1997) l‘offerta ad un soggetto unico piuttosto che alla joint venture Abn Amro – Rothschild”. I magistrati riferiscono che ”non è stato possibile esaminare il documento dell‘ufficio legale dell‘Iri 52 del 4 marzo, richiamato ma non allegato nel verbale del 20 marzo 1997, nel quale risulta essere stata affrontata la questione”.

E poi sottolineano che, sull’aumento della quota da cedere con trattativa diretta per assicurare stabilità dell’azionariato ed evitare la formazione di posizioni dominanti nel capitale di Autostrade ”non sono stati forniti precisi elementi sulle ragioni che hanno poi indotto ad innalzare al 30% tale quota” dall’iniziale 20% previsto. Ed, infine, la Corte sottolinea che ”non sono emersi elementi di chiarificazione attinenti alla richiesta, avanzata da un componente del Comitato (verbale 21 luglio 1997), di accertare l‘esistenza di eventuali conflitti di interesse in capo agli advisor” che per il Tesoro erano Schroders e Imi.

La vendita dell’Ente Tabacchi Italiani è stata forse una delle migliori operazioni di dismissioni da parte dello Stato. Almeno in termini di incasso visto che la cessione ”del valore di circa 2,3 miliardi di euro, sia stata il più grande investimento mai fatto in Italia da una società internazionale”, la British American Tobacco, affiancata da Confcommercio e Franco Bernabè. ”Nel caso delle operazioni Enel ed E.T.I., gli stessi consulenti hanno sviluppato la loro analisi anche su aspetti industriali e gestionali delle aziende” scrivono i magistrati della Corte che evidenziano come invece questo non sia avvenuto nel caso nel caso della fusione Stet-Telecom e della vendita di Seat, in cui ”l’intervento dei consulenti ha riguardato essenzialmente gli aspetti di ristrutturazione finanziaria; al contrario”.

Tanto meglio per Bernabé che oggi, nella veste di presidente di Telecom Italia, si trova un asset, quello della rete, dalla cui valorizzazione potrà almeno ottenere l’abbattimento dei debiti del gruppo. Ma non per i cittadini che hanno assistito alla vendita scontata dei gioielli di famiglia e ora si ritrovano anche a pagare, in alcuni casi, prezzi più alti rispetto agli altri europei per alcuni servizi di base.

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