A Vicenza torna in questi giorni visibile, dopo un lungo e felice restauro, la Basilica di Palladio: cioè il simbolo stesso della tensione del Rinascimento verso la dimensione civile dell’architettura, verso la bellezza al servizio di un progetto politico, verso l’arte come specchio di una comunità. Bene: e nella Vicenza del 2012, cosa ne facciamo di un luogo come quello?

Pierluigi Sacco (una delle poche voci serie nel circo equestre della cosiddetta ‘economia della cultura’) ha redatto uno studio in cui, tra l’altro, si legge che la Basilica «può così ospitare una programmazione di qualità, ma non centrata sul tema delle grandi mostre, dai costi elevati e bisognose di attrarre flussi molto rilevanti di visitatori per poter raggiungere condizioni di sostenibilità. Non ha alcun senso affollare la Basilica con masse di visitatori distratti, attirati da eventi-spettacolo che lasciano una impronta del tutto effimera sul tessuto culturale ed economico della città – l’idea è invece quella di mettere a punto un programma dai costi contenuti ma dall’elevata qualità di ricerca che funga da ‘laboratorio’ per la città: per i programmi delle scuole, con i quali si possono realizzare forme di stretta cooperazione e di integrazione dei programmi didattici, per gli uffici stile e le aree ricerca e sviluppo delle aziende del territorio, per l’associazionismo culturale, e così via».

E, invece, la Basilica appena inaugurata è stata ridotta a teatro del più effimero evento-spettacolo che la stagione delle mostre trash ricordi: Raffaello verso Picasso. Storie di sguardi, volti, figure (prodotta da Marco Goldin). Quattro milioni di euro per una specie di caricatura di un manuale di storia dell’arte, senza lo straccio di un’idea o di progetto culturale, che non sia l’apoteosi del marketing del capolavoro. Da gennaio la stessa accozzaglia di opere sublimi si sposterà a Verona, ma con un altro imperdibile titolo: Da Botticelli a Matisse.

Fin qui niente di particolare: è notorio che Goldin (indimenticato produttore de Gli Impressionisti e la neve, la mostra che ‘impreziosì’ i Giochi olimpici invernali di Torino) interpreta nel modo più efficiente l’abuso a ciclo continuo della storia dell’arte che è praticato anche in molti altri luoghi (dalle Scuderie del Quirinale al Palazzo Reale di Milano). Quel che invece è davvero notevole è la risposta che Goldin ha dato a coloro che gli hanno mosso queste stesse critiche: «Credo nelle emozioni, non nella conoscenza per pochi sapienti». E ancora: «Ho la convinzione che le opere d’arte non debbano essere relegate alla sola fruizione elitaria riservata ai sapienti».

Ecco l’ultima frontiera del tradimento della storia dell’arte, ridotta a strumento per opporre le emozioni alla conoscenza, e il popolo all’élite. È la stessa retorica che usa Matteo Renzi quando difende dalle critiche degli storici dell’arte la bufala auto-propagandistica della ricerca della Battaglia di Anghiari dietro Vasari, o Silvano Vinceti quando dice di aver trovato le ossa di Caravaggio o di Monna Lisa. Questa retorica prevede che alle obiezioni scientifiche non si risponda con argomenti razionali e verificabili, ma con l’appello ad ineffabili e incontrollabili emozioni. Ed è una retorica tre volte menzognera: mente una volta perché tenta di ammantare di un anelito democratico il marketing della propria carriera politica o dei propri affari; mente una seconda volta, perché illude di far godere dell’arte senza nessuno sforzo di conoscenza; mente una terza volta perché toglie ai cittadini l’unico mezzo per costruire davvero la democrazia: e cioè la conoscenza, che si dipinge falsamente come inconciliabile con l’emozione.

La storia dell’arte è una disciplina umanistica, cioè utile a costruire quella che i latini chiamavano humanitas: la vocazione di noi tutti a non vivere come bruti, ma a seguire la conoscenza. Ma il Dio Mercato ha invece bisogno di clienti, emozionati e ignoranti. Questo insanabile contrasto oppone, per qualche mese, il senso ultimo della Basilica di Palladio a quello del suo effimero contenuto.

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