Non si tratta di un semplice ammonimento mensile, scrive Oxfam (Oxford Commitee for Famine Relief, confederazione di 17 organizzazioni non governative). Sebbene ancora sotto i picchi del 2008, i prezzi dei beni alimentari sono vicini ai picchi che quattro anni fa portarono a proteste e violenze in diversi Paesi del mondo. L’indice dei prezzi dei beni alimentari base stilato ogni mese dalla Fao ha fatto registrare a luglio un più 6 percento dopo tre mesi di ribassi. “È il grido d’allarme che sentiamo dal 2008. Questi nuovi dati dimostrano che il sistema alimentare globale non può reggersi su fondamenta traballanti. Il mondo va verso un doppio pericolo, una combinazione di prezzi che salgono e stime al ribasso sulle riserve”, recita il comunicato con cui la rete internazionale di organizzazioni non governative commenta le cifre diffuse in questi giorni dall’agenzia delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura.  Timori condivisi anche dagli esperti dell’agenzia con sede a Roma. “Potenzialmente la situazione potrebbe prendere la piega del 2007- 2008”, ha detto alla Reuters l’economista della Fao, Abdolreza Abbassia.

Quattro anni fa molti Paesi produttori imposero restrizioni alle esportazioni nel tentativo di calmierare i rincari sul mercato interno. Come ricorda l’agenzia britannica si arrivò a porre il divieto assoluto sull’export, a un sistema di quote e alla tassazione sulle esportazioni di generi alimentari tra cui riso, mais e frumento. Con il conseguente aumento dei prezzi a livello mondiale. “Ci aspettiamo che non si ripetano gli errori del passato”, continua Abbassia. A spingere il alto i prezzi sono i rincari di cereali e zucchero. Il mese scorso l’indice dei prezzi cerealicoli ha toccato quota 260 punti, un aumento di 38 punti, vale a dire del 17 per cento rispetto a giugno scorso, 14 punti in meno del picco storico di 274 punti raggiunto nell’aprile 2008, ma molto vicino a quella soglia.

I rincari di grano, frumento e soia mettono a rischio milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo, aveva ammonito Oxfam alla vigilia della pubblicazione dei dati Fao. Aree come la regione africana del Sahel, il Sudan e il Sud Sudan, la Repubblica democratica del Congo, l’Afghanistan, rischiano di veder aggravarsi crisi alimentari già in atto. Il più vulnerabile tra i Paesi è lo Yemen, dove almeno 10 milioni di persone sono sull’orlo della fame e dove il 90 per cento del grano è di importazione.  Rispetto al 2008, nota Oxfam, alcune condizioni sono cambiate. È calato il prezzo del petrolio mentre il riso è rimasto stabile, ma altre cause, come i cattivi raccolti, l’eccessivo ricorso ai biocarburanti, la speculazione finanziaria sul mercato delle commodity sono ancora lì e fanno temere nuove emergenze.  

Da una parte ci sono le prospettive negative della produzione di mais negli Stati Uniti, causate dai danni della prolungata siccità, tra le più gravi degli ultimi decenni, che, dati Fao, hanno spinto al rialzo i prezzi del cereale di quasi il 23 per cento. Anche le quotazioni internazionali del grano sono salite del 19 per cento e sono peggiorate le prospettive dei raccolti nella Federazione Russa e nel Kazakistan, grandi paesi esportatori. Inoltre, se a luglio carne e prodotti caseari sono rimasti stabili, secondo Oxfam potrebbero subire rincari in futuro perché soia e grano sono parte importante dell’allevamento.

Certo per molti agricoltori poveri dei Paesi in via di sviluppo gli aumenti potrebbero rappresentare un’opportunità per migliorare il proprio standard di vita. Ma spesso questo si scontra con l’incertezza e con le carenze infrastrutturali del settore agricolo. Gli scenari tracciati intravedono un aumento dei prezzi della carne, soprattutto suina, in Cina, dove la carne di maiale è un’ingrediente principe della cucina locale, ma dove gli allevamenti hanno bisogno di grandi quantità di soia. Pechino può però fare affidamento sulle riserve. In America Latina a salire sarebbe invece il prezzo del mais mentre nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente il grano e conseguentemente il pane soprattutto per i Paesi dipendenti dalle importazioni. Mentre per l’Africa occidentale tutto dipende da quanto i raccolti locali siano in grado di proteggere i prezzi dalle fluttuazioni internazionali. Prima che la vita delle persone subisca le conseguenze di questi aumenti potrebbe passare del tempo. Molto dipenderà dalle politiche messe in atto dai governi. Un punto questo su cui le raccomandazioni di Oxfam coincidono con quelle di Abbassia. “Bisogna porre fine agli sprechi di cibo, compreso quello bruciato come biocarburante”, scrive l’organizzazione internazionale che punta il dito anche contro i fenomeni di land-grabbing e contro i cambiamenti climatici. Proprio il clima è stato uno dei fattori per gli aumenti di luglio. Le piogge premature in Brasile hanno parzialmente compromesso il raccolto di canna da zucchero. Preoccupazioni hanno destato anche il ritardo del monsone di India e le scarse piogge in Australia.

di Andrea Pira

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