Tanto tuonò che piovve. In un clima insolitamente autunnale, col termometro passato repentinamente da 40 a 30 gradi, i deputati dell’Assemblea siciliana scoprono che la Regione non ha i soldi per pagare i loro stipendi di luglio né quelli dei dipendenti dell’Ars. Gli ottimisti prevedono che il ritardo sarà di una decina di giorni e che l’estate tornerà presto, ma intanto trova conferma la crisi di liquidità di cui in questi giorni ha parlato il governatore Raffaele Lombardo, il quale ha sempre respinto l’allarme su un possibile default e che soltanto ieri ha rassicurato il premier Mario Monti sulla solidità del bilancio.

I conti saranno a posto, ma il posto più invidiato dai siciliani, quello che occupano i 90 parlamentari dell’Ars, produce i primi scricchiolii. Non era mai accaduto in 66 anni di autonomia statutaria che le casse della Regione fossero così al verde: non c’è un euro neanche per i Tfr. Con un bilancio di 27 miliardi, sembrava una bazzecola per palazzo d’Orleans tirare fuori i circa 160 milioni annui da destinare all’Ars per pagare i deputati (13mila euro netti al mese) e i 293 dipendenti (oltre ai 78 che lavorano nei gruppi), alcuni dei quali, come i consiglieri parlamentari, sfiorano la cifra di 10mila euro.

Il ritardo non è stato senza conseguenze: il presidente dell’Ars, Francesco Cascio (Pdl), se la prende con l’assessore all’Economia Gaetano Armao, reo di trattare i deputati “come un qualunque fornitore” e spiega che i suoi rapporti con il governo regionale di Lombardo sono “più di odio che d’amore”. Prima di entrare in aula (le sedute andranno avanti ad oltranza fino al 31 luglio, quando Lombardo di dimetterà, nel tentativo di approvare norme per ridurre la spesa) qualche deputato tiene a sottolineare che le indennità ai parlamentari dovranno essere pagate dopo il mensile dei dipendenti “che vivono di stipendio”, dice il capogruppo del Pid Rudy Maira.

Intanto, il responsabile Economia del Pd siciliano, l’ex assessore al Bilancio Franco Piro, spinge perchè la spesa dell’Ars sia parametrata, a partire dalla prossima legislatura, su 70 deputati, con un risparmio che secondo i suoi calcoli si aggirerebbe intorno al 40%. Settanta non è un numero a caso: il Senato, infatti, ha già approvato la riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei deputati, voluta dall’Ars; ma il rischio è che non ci sia tempo, da qui alle elezioni anticipate del prossimo 28 e 29 ottobre, perchè il provvedimento passi anche alla Camera. “Ma anche in questo caso – spiega Piro – si potrebbe intervenire con la riduzione delle indennità e delle spese per il personale. Sarebbe un bel segnale”.

A regolare gli stipendi dei parlamentari ci pensa una legge del 1965, la numero 44, approvata dopo 19 anni dall’istituzione dell’Ars (nata prima della Repubblica). Con una scelta tanto autonoma quanto arbitraria, l’Ars decise di far riferimento al trattamento del Senato. Nessuno ebbe da ridire, e ancora oggi lo Statuto autonomista, come ha spiegato nel pomeriggio alla Camera il ministro Piero Giarda, non consente ingerenze dello Stato in materia di bilancio della Regione. Ma adesso nel fortino blindato di palazzo dei Normanni cominciano a scarseggiare i “viveri”.

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