dialects vito ranucciSi intitola Dialects (MK Records/Venus 2012) il nuovo disco dell’eclettico compositore e saxofonista napoletano Vito Ranucci. Un viaggio onirico che fonde elettronica e musica classica, sino ad arrivare al nu-jazz. Armonie e ritmiche sospese in un equilibrio instabile tra modernità e tradizione. Una musica visionaria che sembra rincorrere le ombre e i fantasmi di cui è colonna sonora. Non a caso Vito Ranucci ha realizzato musiche per cinema e teatro tra cui il tema principale della colonna sonora dell’ultimo film del regista Mario Monicelli, Le rose nel deserto. “Penso alla musica come un’immagine, o spesso come un sogno, e lo devo presto rappresentare”.

Tanti e prestigiosi gli ospiti nell’ultimo lavoro, tra cui l’originale cantautore napoletano Alan Wurzburger e la cantante Mbarka Ben Taleb. Il disco si apre con la suggestiva e ipnotica “Dans Le renard” seguita dalle armonie mediterranee di “Poison”. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato perché non lascia tregua. Interessante e intensa la rielaborazione di uno dei più celebri corali da La Passione secondo Matteo di J.S. Bach, e infine un’intima e personale rivisitazione di Carmela di Sergio Bruni.

Perché Dialects?

E’ un titolo che sintetizza la volontà di rappresentare attraverso la musica, senza limitazioni stilistiche o confini culturali, il mondo globalizzato, l’osmosi inevitabile tra globalizzazione e tradizione. E rappresenta, in particolare, la nostra percezione della vita contemporanea, dei suoi linguaggi, dell’interpretazione di essi dal nostro luogo di origine e di vita, della nascita dei nuovi “dialetti”.

Come mai la scelta di rivisitare Bach e Bruni?

Affrontando l’argomento in totale spudoratezza e libertà, attribuendo ad ogni traccia del disco uno scenario di vita, mi piaceva raffigurare quella che è la mia visione di queste due stupende musiche. In fondo la cover in questo caso è solo il pretesto per inscenare quale effetto quella musica ha avuto su di me e sul mio inconscio, quale è il mio modo di affrontare quella tematica. E ritengo sia avvenuto con gli stessi procedimenti e stesso approccio in entrambi i casi.

Tanti ospiti per atmosfere e mondi diversi: come nasce questo nuovo viaggio?

La mia produzione musicale non ha tregua. Nel tempo vanno quindi stratificandosi lavori e collaborazioni diverse, che poi prendono forma, si agglomerano, e danno vita a dischi di questo tipo. La varietà dei personaggi e interpreti chiamati a collaborare dipende essenzialmente dalla necessità di rappresentare scene sempre nuove, volta per volta, piuttosto che standardizzare o focalizzarsi su di una soluzione ritenuta frettolosamente valida. Rappresentando sinceramente se stessi nella musica, sarebbe insopportabile vedersi raffigurare immobili su di un pensiero o una posizione. Di pari passo con la mia identità personale, la mia musica si evolve giorno per giorno, servendosi di tutto ciò possa essere utile per rappresentarsi al meglio.

La tua musica sembra inscindibile dalle immagini che naturalmente riesce a evocare quando l’ascolti. Cosa ispira i tuoi dischi?

Di sicuro sempre l’urgenza di raccontare la mia vita, la mia impressione del mondo, degli altri, dell’amore. Questo avviene, come è chiaro nella musica, utilizzando effetti e procedimenti non necessariamente strettamente musicali, non vincolati ad alcun genere o tendenza, ma aperti a tutte le tendenze e gli stili, al cinema, alla teatralità, all’arte, ma alla classicità, come all’etnomusicologia. Trattare la musica come un complesso linguaggio comunicativo che richiede l’uso di strumenti che vanno oltre i normali strumenti musicali, ma anche soprattutto oltre i normali soliti strumenti cognitivi. Ergere la musica ad un nuovo rango poetico-filosofico. Credo molto in questo lavoro e al prossimo che presto pubblicheremo, e li contrappongo a quanti passano il tempo a rimestare una minestra riscaldata, ai cantautori da tre minuti e mezzo, al modello italiano, al finto-povero politicizzato, a miss Italia, eccetera.

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