Il contrasto tra le due narrazioni non potrebbe essere più stridente. La Tv di stato siriana ha trasmesso oggi le immagini del presidente Bashar Assad che, sorridente, ha depositato nell’urna la sua scheda elettorale per il referendum sulla nuova Costituzione e di cittadini che hanno scelto di partecipare al referendum. I network internazionali, invece, hanno continuato a mandare in onda le scene dei bombardamenti che anche oggi, per la terza settimana di fila, hanno continuano a martoriare la città di Homs, epicentro e simbolo di quasi un anno di rivolta anti-regime.

Il referendum sulla nuova Costituzione è stato convocato da Assad pochi giorni fa, non appena il testo, elaborato da una commissione nominata dallo stesso presidente, è stato completato. I siriani hanno avuto poco più di una settimana per valutarne la portata che, sulla carta, sarebbe comunque significativa: fine del sistema a partito unico, limite di due mandati presidenziali consecutivi di sette anni ciascuno (articolo 88), ma solo a partire dalle prossime elezioni (articolo 155), previste nel 2014. Il presidente Assad ha anche promesso che le prime elezioni con un sistema multipartitico si svolgeranno entro tre mesi dall’adozione del nuovo testo. E anche se la Costituzione proibisce i partiti su base religiosa, etnica e professionale e in teoria potrebbe lasciare in carica Assad per altri sedici anni, peraltro con ampi poteri, non sono pochi in Siria e all’estero (soprattutto a Mosca) a sperare che queste riforme, per quanto al di sotto di quanto desiderato, potrebbero avviare un effettivo cambiamento del paese.

Sul successo di questa operazione politica, che coinvolge 14 milioni di aventi diritto al voto, attesi in circa 14 mila seggi elettorali, pesa però la violenza che continua a sconvolgere il paese. Le opposizioni hanno invitato i siriani a boicottare il referendum, giudicato l’ennesima farsa del regime per guadagnare tempo e allontanare ancora di qualche mese quella che ai gruppi anti-Assad sembra una caduta inevitabile. Non sarà facile verificare i dati di affluenza alle urne, che saranno probabilmente il vero banco di prova per capire quanto resta ancora del controllo del regime sul paese.

E’ la terza volta che Assad fa finta di misurarsi con le urne: nel 2000 il 97,2 per cento dei siriani confermò la sua successione al padre Hafez alla guida del paese, e nel 2007 venne rieletto presidente con il 97,6 per cento dei consensi. Percentuali che poco o nulla avevano a che vedere con le reali opinioni dei siriani. Le opinioni delle opposizioni sono amplificate dai giudizi che arrivano dall’estero. Il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle ha detto che il voto di oggi è «una farsa», mentre il segretario di stato statunitense Hillary Clinton ha lanciato un appello ai siriani che ancora appoggiano Assad ad abbandonare il regime. Secondo Louay Safi, un membro del Consiglio nazionale siriano – il principale gruppo di opposizione – intervistato da Al Jazeera, «il referendum è senza significato». «Il regime sta violando la costituzione che è in vigore oggi – ha detto Safi – Se il regime rimane intatto, anche la nuova Costituzione sarà senza peso. L’unico modo per avere un nuovo testo è passare attraverso un governo provvisorio che garantisca il passaggio di poteri».

Ma di passaggio di poteri, Assad continua a non voler sentir parlare. Il ministero dell’interno siriano in un comunicato ha detto che «il referendum sulla nuova costituzione sta avendo luogo in modo normale nella maggior parte delle province, con un alta percentuale di votanti, eccetto che in alcune aree». Tra le «alcune aree» c’è Homs dove, stando ai resoconti che rimbalzano sulla Rete, non ci sono seggi e non ci sono persone in fila per votare. Secondo i gruppi dell’opposizione, almeno 40 persone sono state uccise nella città, con le operazioni militari dell’esercito regolare ancora concentrate sul quartiere di Bab Amro. A Damasco, alcuni gruppi hanno cercato di manifestare davanti ai seggi, bruciando copie della nuova Costituzione.

Scontri ci sono stati in altre zone del paese, da Idlib, nel nord, a Deraa, nel sud, da dove le proteste sono partite il 15 marzo scorso. La Croce rossa internazionale ha anche fatto sapere che i negoziati con il governo siriano e con i gruppi armati dell’opposizione per consentire il soccorso ai civili a Bab Amro non hanno ancora portato a nulla di concreto. I seggi si sono chiusi alle 19 ora locale, le 18 in Italia. Poco prima, il presidente Assad ha parlato in tv: «C’è un attacco dei media contro di noi – ha detto – Ma noi siamo i più forti sul terreno».

di Joseph Zarlingo

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