Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini

E’ il grande ritorno di Pier Ferdinando Casini. Dopo qualche anno passato in un’opposizione apparentemente priva di prospettive, schiacciato tra i due poli e con risultati elettorali non entusiasmanti, il leader dell’Udc prova a raccogliere i frutti della sua lunga marcia. Ovvero il “grande centro”. O, per qualcun altro, il grande inciucio: Pdl, Pd e Udc insieme per governare l’Italia. Ma per volontà, non per forza, come accade oggi sotto la pressione dei mercati.

Il “manifesto” di Casini, uno degli architetti politici  dell’operazione Monti, è illustrato in un’intervista su Panorama in edicola domani: “Abbiamo chiesto la supplenza dei tecnici anche perché, a un anno dalle elezioni, sarebbe stato molto difficile vedere Alfano e Bersani nello stesso governo: ma a me piacerebbe che stessero insieme per precisa volontà”. Proprio sulla testata berlusconiana, Casini si augura che dalle prossime elezioni “nasca una grande coalizione sul modello della Germania, e che le ali estreme, e cioè coloro che sono palesemente incapaci di partorire una politica non figlia della demagogia e del populismo, vengano emarginate”.

Far fuori le “ali estreme” è una strategia di lungo corso. Torna in mente il bigliettino (una costante della politica italiana) sul quale, il 10 febbraio 2006, Casini e Valter Veltroni misero nero su bianco il progetto. Uno scambio di idee confidenziale, ma poi il bigliettino fu dimenticato (o lasciato) su un tavolo e finì in prima pagina sul Corriere della Sera.

Erano gli ultimi mesi del governo Berlusconi e si pensava al futuro. I sondaggi premiavano il centrosinistra ma, scriveva Veltroni, “comunque sono tutti matti. E il Paese non uscirà dai guai. Né con Caruso né con Borghezio”. Ovvero le ali estreme: Francesco Caruso, candidato “no global” di Rifondazione comunista, e Mario Borghezio, simbolo della Lega nord più ruspante. Risposta di Casini: fino alle elezioni “non può succedere nulla di diverso. Poi vedremo. Perché se il centrodestra migliorerà un poco ancora il Senato sarà imballato». Traduzione: Casini aspirava a un Senato immobilizzato dal “pareggio” tra i due principali contendenti, e addio bipolarismo.

Cinque anni dopo, l’ex presidente della Camera rispolvera esattamente la stessa formula. Fuori la sinistra, e fuori anche l’ala più estrema della Lega nord. Dialogo invece con “l’ala meno radicale”: “Noi dialoghiamo con Roberto Maroni e con Flavio Tosi, cioè con l’anima meno populista della Lega”. Quanto al senatur Umberto Bossi,  “vedremo che cosa farà, ma non credo che l’opposizione trinariciuta al governo di Mario Monti gli faccia bene per la campagna elettorale”.

In modo simmetrico, Casini apre al più moderato del Pd: “Matteo Renzi? Lo accoglierei a braccia aperte. Magari venisse da noi”. Quanto all’attuale presidente del Consiglio, Casini non nasconde l’entusiasmo per il suo centrismo: “Monti si sta dimostrando più politico di tanti politici, è furbo e raffinato, non ha nulla da invidiare a Giulio Andreotti”. Difficilmente il professore della Bocconi apprezzerà il paragone, ma Casini si spinge oltre. Alla domanda su chi possa occupare in futuro lo scranno di presidente della Repubblica, il leader dell’Udc risponde: “Mi auguro che Mario Monti tiri fuori l’Italia dalla crisi e poi sicuramente non rimarrà disoccupato”.

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