Alla Banca centrale europea finisce un’epoca, Jean-Claude Trichet presiede il suo ultimo consiglio direttivo, dal mese prossimo ci sarà l’italiano Mario Draghi al suo posto. Trichet se ne va con una decisione coerente con quelle degli ultimi anni, quindi criticata: la Bce non abbassa i tassi di interesse, che restano fermi all’1,50 per cento. Nonostante la crisi del debito pubblico e il ritorno della crisi bancaria. E la decisione ha stupito molti che si aspettavano una reazione decisa della Bce, anche per correggere la scelta di alzare il costo del denaro il 13 luglio, quando già la crisi di sfiducia stava facendo salire gli spread rendendo più costoso per gli Stati trovare credito. Anche nel luglio 2008, appena due mesi prima del crac di Lehman Brothers, la Bce aveva alzato i tassi concentrata solo sull’inflazione e non su una paralisi del mercato interbancario analoga a quella che si sta verificando oggi.

Eppure bisogna dare atto a Trichet di non essere così conservatore come lo dipingono, ossessionato cioè dall’inflazione e dimentico del resto, come vorrebbe la cultura tedesca su cui è costruita la Bce. Ieri infatti ha annunciato prestiti illimitati per 12 mesi e “un nuovo programma di acquisto dei covered bond. Gli acquisti saranno di 40 miliardi di euro e saranno condotti sul mercato primario e secondario. Inizieranno a novembre 2011 e saranno completati alla fine di ottobre del 2012”. Cioè un aiuto alle banche, che potrannno liberarsi di titoli che non vogliono più tenere in bilancio. Spazzatura in cambio di soldi freschi, con l’obiettivo di evitare la paralisi del settore del credito senza stimolare l’inflazione. Trichet ha sempre scelto questa linea, aiutare le banche con strumenti diversi dalla riduzione del tasso di interesse. E per rimanere il più possibile indipendente dai governi (una riduzione del tasso di interesse piacerebbe a tutti).

In questi ultimi anni del suo mandato Trichet ha malvolentieri adattato la Bce a strumento di sostegno e gestione della crisi del debito, senza ammettere mai esplicitamente l’evoluzione. Ogni volta ribadisce che i governi devono fare la loro parte. A proposito dell’Italia e della lettera che detta le condizioni per avere il sostegno della Bce sul mercato del debito, Trichet ha commentato: “Vediamo cose che ci sembrano importanti e giudichiamo, non negoziamo con nessuno, abbiamo mandato un messaggio come eurosistema e abbiamo visto cosa è stato deciso, non voglio dire molto su questo punto”.

La Bce è l’unica istituzione operativa di cui l’Europa dispone per affrontare questo round della crisi, in fase di ulteriore peggioramento con la nuova ondata di dissesti bancari (inaugurata da Dexia, gruppo franco-belga prossimo alla nazionalizzazione). Resta da capire, e su questo gli storici giudicheranno il mandato di Trichet, se la ritrosia a gettarsi nella mischia risulterà una sana prudenza che ha evitato di trasferire tutto il potere a un’istituzione non democratica come la Bce. Oppure se sarà ricordata come un errore decisivo che ha condannato l’euro.

Ieri Tichet ha ribadito che non sarà la Bce a risolvere il problema degli Stati europei con il fondo Efsf. L’idea che circola in queste settimane è di dare più poteri al fondo salva Stati permettendogli di indebitarsi con la Bce che, stampando denaro, può acquistare quantità illimitate di obbligazioni. E così il fondo potrebbe ricapitalizzare le banche disastrate e comprare le obbligazioni pubbliche svendute sul mercato. Ma Trichet non ha voluto, finora, diventare il prestatore di ultima istanza di tutto il sistema finanziario. Anche se l’alternativa, agli occhi di Trichet, è ancora peggio: l’intervento del Fondo monetario internazionale, di cui ormai si parla come cosa assai probabile. Trichet ha frenato nell’accettare il coinvolgimento del Fmi nella crisi greca. E quello, si può già dire, è stato sicuramente un errore.

(Foto Lapresse)

Il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2011

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