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“L’omosessualità è una pestilenza”
E il gay pride serbo viene cancellato

La manifestazione doveva svolgersi domani. Nei giorni scorsi il patriarca di Belgrado, ha definito il Pride "una sfilata di vergogna". Il ministro dell'Interno sostiene che le organizzazioni di estrema-destra aveva già preparato violente manifestazioni
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Il primo gay pride di Belgrado si è svolto ormai dieci anni fa. Per le associazioni Glbtq serbe, però, la strada per il pieno riconoscimento dei propri diritti è ancora tutta in salita. La nuova street parade avrebbe dovuto svolgersi domani, ma il ministero dell’interno ha deciso di vietare tanto il corteo dell’orgoglio omosessuale quanto le manifestazioni anti-gay già annunciate tanto da alcune formazioni dell’estrema destra quanto dalla Chiesa Ortodossa serba.

Irinej, il patriarca di Belgrado, ha definito il Pride “una sfilata di vergogna” che rischia di diffondere la “pestilenza” dell’omosessualità nella società serba. Il ministro dell’interno Ivica Dacic ha detto che il governo ha deciso di vietare tutte le manifestazioni per evitare “guai peggiori”. Come quelli, per esempio, che si sono verificati l’anno scorso, quando il Pride è stato assalito da hooligans ed estremisti di destra. Negli scontri tra polizia, manifestanti e nazionalisti ci sono stati decine di feriti. Era già successo nel 2001, al primo Gay pride nella capitale serba – che è comunque la più gay friendly tra le capitali della ex Jugoslavia – e gli scontri avevano spinto gli organizzatori del Pride a evitare nuove manifestazioni fino a quella dell’anno scorso. Il presidente Boris Tadic ha cercato di gettare acqua sul fuoco delle proteste della comunità Glbtq: “In questo modo i cittadini, membri della comunità lesbica, omosessuale e transgender sono protetti”. Ben magra consolazione per i Glbtq di un paese dove fino al 1994 l’omosessualità (maschile) era un reato penale.

Dacic ha spiegato alla stampa locale che il ministero ha ricevuto informazioni precise sui piani delle organizzazioni di destra, molto vicine alle tifoserie di alcune squadre di calcio: “Abbiamo saputo che non si sarebbero limitati a cercare di impedire la manifestazione – ha detto Dacic – . Ma avrebbero organizzato una rivolta, con auto bruciate e assalti alle sedi dei partiti politici e delle ambasciate straniere”. Uno scenario da riot urbani che il governo serbo non vuole proprio dover affrontare. Il paese, infatti, sta concludendo i negoziati con il Fondo monetario internazionale per un prestito dal un miliardo di dollari per stabilizzare l’economia e i sentimenti nazionalisti sono già molto eccitati dalla crisi in corso nel Kossovo del nord, dove la comunità serba sta protestando da giorni contro l’appoggio che Eulex e Kfor stanno dando alla polizia kosovaro-albanese per prendere il controllo di quelli che il governo di Pristina considera i posti di frontiera con la Serbia.

Decisamente critiche rispetto alla decisione del governo sono invece le organizzazioni Glbtq che da mesi lavorano all’evento. Uno degli organizzatori del Pride belgradese, Goran Miletic, ha detto all’Agence France Press che il divieto di manifestare è una “capitolazione del governo” rispetto alle richieste degli estremisti. “L’anno scorso hanno mostrato più forza – ha commentato Miletic – . Quest’anno non c’è stata la volontà politica di consentirci di esprimere la nostra identità pubblicamente”.

L’opinione di Miletic sembra sostenuta dalla reazione, opposta, delle organizzazioni di destra. Sul suo sito web una di queste, Obraz (Onore) ha definito il divieto di manifestare “una vittoria”. Obraz è una delle formazioni della galassia dell’estremismo di destra serbo nel mirino del governo che sta cercando di vietarle. Ai primi di giugno la Corte costituzionale serba ha dichiarato illegale un’altra formazione, il Fronte nazionale, e Obraz, assieme a 1389 potrebbe presto seguire la stessa sorte. Intanto, però, la decisione del governo di proibire il Pride di domani indica che, al di là dei divieti legislativi, il potere di ricatto delle organizzazioni di estrema destra nello stato balcanico è ancora molto forte.

di Joseph Zarlingo

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