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Donne disoccupate e mignotte strapagate

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L’ultimo rapporto Istat dice che una donna su due in Italia non ha un’occupazione e neppure la cerca più. Il tasso di disoccupazione femminile è il secondo più alto di tutta Europa (48,9 per cento, peggio di noi solo Malta). A questo aggiungete un altro dato disastroso: sono più di due milioni le ragazze e i ragazzi che non lavorano ma neanche studiano.  Si parla di due milioni di giovani  tra i 15 e i 30 anni, per una media del 21,2 per cento, la quota più alta a livello europeo.

Per tante donne giovani disoccupate c’è poi una manciata di ragazze fin troppo occupate e strapagate, quelle che le squallide cronache di questi giorni ci raccontano impegnate a maneggiare bigliettoni da 500 euro, buste, costumi da infermiera, calze autoreggenti, borse firmate, occhiali di marca, brillantini, gioielli, collanine, ciondoli d’oro e via elencando. E ci ridono pure sopra: «Eh, un cristiano normale lavora sette mesi per prendere quello che ho preso io, mi sa che è un po’ tanto…».

Sono una minoranza ma purtroppo la più visibile. Non sono “povere ragazze”, come qualcuno prova a descriverle sui giornali (Aldo Cazzullo, Il Corriere della Sera). Non è neanche “uno spaccato dell’Italia come è diventata”. Sono semplicemente la feccia della società, gente per cui non si può provare pietà ma solo rabbia e ribrezzo, con le loro storie da orfanelle e con le infanzie difficili di padri assenti e zii violentatori. Se anche fossero vere, sapete quante ragazze, tra quei due milioni di disoccupate sotto i trent’anni fotografate dall’Istat, hanno alle spalle storie altrettanto difficili? Ma non si prostituiscono e non si vendono. Sapete quante donne disoccupate fanno fatica a trovare i soldi non diciamo per il mutuo o per sposarsi o per fare un figlio (più sogni che desideri irrangiungibili), ma semplicemente per arrivare a fine mese e pagare le bollette?

Eppure un pugno di zoccole fa scomparire le donne vere di questo Paese. E, soprattutto se le si guarda dall’estero, sembra che l’Italia sia solo quel “gran puttanaio” di cui parlano le intercettazioni.

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