In morte di una foresta. Così l’esportazione del tannino sta distruggendo l’ecosistema del Chaco argentino
SOMMARIO
“Tutti i giorni vediamo passare camion che trasportano tronchi su tronchi dei nostri alberi. È l’immagine di come sta scomparendo il Chaco argentino”. Natay Collet è guardiaparco. Nel suo lavoro quotidiano, assiste in prima persona alle deforestazioni illegali che stanno portando alla distruzione di uno degli ecosistemi più importanti dell’America Latina. Il Gran Chaco è una foresta subtropicale che si estende per 100 milioni di ettari tra Argentina, Paraguay, Brasile e Bolivia. È un territorio prezioso: composto da foreste e macchia, ospita migliaia di varietà di piante e centinaia di specie animali.
Secondo Greenpeace è una delle aree che soffre i più alti tassi di deforestazione al mondo: solo nel 2024 nel Chaco argentino sono andati distrutti 150mila ettari, il 10% in più rispetto all’anno precedente. A causa dell’avanzata dell’industria agricola, del legname e del carbone, il paesaggio si sta trasformando in campi di polvere. Ma, a differenza di quanto accade per la vicina Amazzonia, è una situazione poco visibile.


(Foto di Sofía López Mañan)
“Le ruspe producono effetti disastrosi perché le catene distruggono tutto. Alberi, piante, nidi di uccelli, fiori: tutto cade a terra e muore”, aggiunge Collet a ilfattoquotidiano.it mentre cammina per le strade sterrate che conosce a memoria. Per anni ha lavorato come cineasta e ha attraversato questo territorio riprendendo fauna e flora per fare sì che non si perda la loro memoria. Ha proiettato i suoi documentari nelle comunità dei popoli originari che vivono nel Gran Chaco e se ne prendono cura. “Nel nostro ecosistema vivono persone di diverse culture e alcune comunità sono qui da millenni. Hanno un legame spirituale con la foresta. La sua degradazione implica la rottura di una relazione ancestrale con la natura”, prosegue. Si avvicina al fusto di un quebracho colorado: questa specie cresce solamente nella ecoregione del Gran Chaco, l’unico posto al mondo in cui è possibile trovarla.
Ne rappresenta l’identità, ma sta inesorabilmente diminuendo. “Sono gli alberi che entrano nelle fabbriche di tannino”, aggiunge. Attraverso un processo chimico, dal tronco si ricava una polvere rossa destinata a diversi usi tra i quali la lavorazione del cuoio. Dal nord dell’Argentina, il tannino approda ai mercati internazionali e in Europa, anche in Italia, dove è apprezzato per essere ecosostenibile: permette di realizzare la concia al vegetale, che conferisce al cuoio flessibilità e una particolare texture, senza ricorrere a prodotti chimici spesso dannosi per l’ambiente e la salute. Grazie alle sue caratteristiche, viene utilizzato per lavorare il pellame di alta qualità usato nelle calzature, nel vestiario e nei rivestimenti delle automobili.
Oggi a produrlo sono due imprese: Unitan, argentina, e Indunor che fa parte del gruppo italiano Silvateam. Entrambe sono radicate nel Chaco dallo scorso secolo ed esportano tannino in oltre 50 Paesi. Silvateam, secondo l’analisi di mercato realizzata dalla società di consulenza Mordor Intelligence, nel 2024 è stata tra le principali aziende al mondo a produrre estratti vegetali. “Il tannino di quebracho colorado finisce in scarpe e giacche in cuoio che non ci potremmo mai permettere”, conclude Collet, nata e cresciuta nella provincia dove si registra uno dei livelli di povertà più alti dell’Argentina. “Stiamo perdendo il nostro patrimonio naturale che finisce in un paio di stivali dall’altra parte del mondo”.
Tagliare legname oltre i limiti legali
In Argentina dal 2007 esiste la Ley de Bosques che ha l’obiettivo di regolare la protezione delle foreste primarie e la loro gestione in modo responsabile. La norma le classifica in tre categorie con diversi livelli di protezione. Nella zona rossa, dove ricadono aree che ospitano ecosistemi delicati, è severamente vietato abbattere o alterare la foresta in qualsiasi modo. Nella zona gialla, è permesso un uso controllato delle risorse forestali. Nella zona verde è possibile modificare l’uso del suolo, ad esempio per avviare attività agricole, ma solo dopo avere ottenuto il permesso delle autorità competenti che devono garantire che non si stia compromettendo la sostenibilità ambientale.
Nel Chaco questo non si verifica e lo Stato ne è a conoscenza. “La legge è preziosa, ma purtroppo non si mette in pratica”, commenta Inés Aguirre. Oggi in pensione, per anni ha lavorato nella Dirección de Bosques, l’istituzione governativa che si occupa dell’applicazione della normativa: quando aveva denunciato le numerose irregolarità che avvengono sul territorio, che portano a deforestazioni illegali con la complicità di funzionari locali, è stata costretta a lasciare il suo incarico. “A livello teorico, il meccanismo è ideale. Per poter tagliare alberi di quebracho colorado nel campo di un proprietario, il produttore forestale deve richiedere un permesso presso la sede provinciale della Dirección de Bosques. Un ingegnere forestale o agronomo, selezionato dallo Stato, si reca sul territorio dove realizza un inventario degli alberi e determina quanti ne possono essere abbattuti. Ma in pratica lo stesso funzionario autorizza a tagliare più di quanto il bosco può sostenere, contribuendo alla sua degradazione”, conclude Aguirre. Può succedere che i piccoli proprietari di appezzamenti di terra si trovino in condizioni di difficoltà economica e siano costretti ad accettare accordi svantaggiosi con chi compra il legname per poi rivenderlo. Lo stesso succede ai lavoratori chiamati per tagliare gli alberi: spesso versano in condizioni precarie, sono pagati a giornata e non hanno i dispositivi di protezione individuale necessari per maneggiare le attrezzature usate per abbattere le piante.
“Assistiamo a numerose forme di illegalità e le autorità raramente intervengono, nonostante le denunce”, spiega la guardiaparco Natay Collet. “Come permessi di dubbia provenienza che alla fine consentono ai produttori forestali di fare quello che vogliono”. Il riferimento è ai permessi di trasporto dei prodotti forestali (guías): quando un camion che trasporta legname supera le porte dell’impresa che lo sta acquistando, deve dimostrare che è stato prelevato legalmente. Ogni produttore forestale deve ricevere un numero di autorizzazioni al trasporto proporzionale al volume di legname che può estrarre da un terreno, in base al permesso rilasciato dalla Dirección de Bosques. Ma il meccanismo si inceppa. Un’indagine realizzata dalla giustizia federale, a partire da una denuncia presentata dalla Ong Abogados Ambientalistas, ha rivelato che negli anni sono state rilasciate molte più guías di quanto fosse logicamente possibile fare in relazione ai volumi di legname autorizzati per l’abbattimento. Ciò significa che i produttori hanno ricevuto centinaia di permessi “in più” quando i terreni in cui potevano tagliare non giustificavano un numero così alto di autorizzazioni. Le guías “eccedenti” sono state usate per trasportare legalmente legname che, in realtà, era stato tagliato illegalmente. Almeno due casi aiutano a chiarire la situazione: un produttore aveva ricevuto 1.374 permessi per soli 50 ettari di terreno. Un altro aveva ricevuto 485 autorizzazioni per 45 ettari. In entrambe le circostanze, il legname è entrato nelle imprese locali, tra cui quelle che producono tannino.
Non solo. Negli ultimi dieci anni i permessi per deforestare si sono concentrati nelle mani di grandi impresari, tra cui società che hanno ricevuto autorizzazioni a intervenire in aree ad alta protezione ambientale. In un meccanismo di porte girevoli tra il pubblico e il privato, la Dirección de Bosques ha concesso permessi che hanno consentito a imprese forestali di intervenire in zone dove era vietato farlo oppure di utilizzare il legname proveniente da deforestazioni illegali. È il caso delle cosiddette “autorizzazioni speciali”, create appositamente per consentire la vendita di legname proveniente da disboscamenti illegali, quella che rimane a terra dopo il passaggio delle ruspe. Dai documenti cui abbiamo avuto accesso grazie alle nostre fonti, è stato possibile ricostruire che nel 2019 la Dirección de Bosque aveva rilasciato 38 autorizzazioni speciali che coprivano circa 6.700 ettari. Nel periodo dal 2020 al 2024, la cifra è aumentata raggiungendo i 365 permessi. Per chi ha lavorato all’interno della Dirección de Bosques, concederli significa aiutare il territorio. “Se non viene rimosso rapidamente, il legname può incendiarsi. Allora ne permettiamo la vendita”, afferma Gonzalo Riaño, che ha lavorato come ingegnere forestale. “Pensiamo che lasciarla abbandonata causerebbe un danno ambientale maggiore”. Le organizzazioni ambientaliste locali pensano, invece, che le “autorizzazioni speciali” incentivino a deforestare illegalmente.
Il labirinto della produzione di tannino
Le aziende che producono tannino operano in questo ampio contesto fatto di scarsi controlli da parte delle autorità pubbliche e opacità. Indunor e Unitan hanno raggiunto diversi primati: sono le principali aziende che esportano tannino dall’Argentina, in particolare estratto di quebracho, che viene inviato a distributori di prodotti chimici e concerie in tutto il mondo. Ciascuna produce circa 25mila tonnellate annue di tannino di quebracho colorado. Fanno parte dell’identità del territorio, al pari degli alberi, al punto che la fondazione de La Escondida, cittadina dove ha sede Indunor, viene fatta coincidere con il giorno in cui la fabbrica ha realizzato la prima produzione di tannino vendibile. Le loro sedi sono circondate da aree recintate che contengono migliaia e migliaia di tronchi a cielo aperto. Entrambe portano avanti progetti di riforestazione, utilizzando piantine di quebracho e di eucalipto, e presentano il loro tannino come un prodotto rispettoso dell’ambiente. Dispongono di una certificazione di “catena di custodia”, rilasciata da PEFC: sostiene di garantire che il materiale provenga da fonti controllate, e che non sia stato “mescolato” lungo il cammino con materie prime di origine illegale o non certificata.
Le due imprese non abbattono alberi direttamente, ma acquistano il legname da aziende forestali. Dai documenti cui siamo riusciti ad accedere, grazie al supporto di ricercatori e avvocati, è stato possibile scoprire che il legname che entra nelle loro fabbriche proviene anche da fonti di legalità dubbia. “Una parte significativa del legname che entra nelle tanineras proviene da terre pubbliche della provincia, da cui viene estratto e trasportato senza i permessi di trasporto corrispondenti”, spiega Matías Mastrangelo, ricercatore indipendente del Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (CONICET), uno dei principali centri di ricerca scientifica del Paese. Mastrangelo ha avuto accesso e ha analizzato più di 120.000 guías che erano state rilasciate dalla Dirección de Bosques tra il 2009 e il 2024, messe a disposizione dalla giustizia federale. Mastrangelo ha confrontato le quantità dichiarate dal governo provinciale, secondo cui il 40% del legname utilizzato annualmente dalle tanineras proviene da terreni demaniali, con il numero effettivo di guías emesse per quelle aree. Da questo confronto è emersa una discrepanza di circa 40.000 tonnellate annue, che suggerisce l’esistenza di legname estratto illegalmente ma comunque utilizzato.
Non solo. “Abbiamo ricostruito che circa 40.000 tonnellate annue del legno che utilizzano Unitan e Indunor provengono dalle autorizzazioni speciali”, prosegue Mastrangelo. “Attraverso l’analisi dei documenti forniti dalla giustizia federale, è stato possibile accedere alle guías emesse nel 2023 e nel 2024 relative a tali autorizzazioni. Questi documenti rivelano come una parte significativa del legname che entra negli impianti proviene da disboscamenti illegali e non attraverso i normali permessi di cambiamento d’uso del suolo”, conclude.
Contattate sul tema, entrambe le imprese hanno preferito rispondere per iscritto. Indunor ha confermato che nella sua fabbrica è arrivato legname proveniente da questo specifico permesso. Unitan ha affermato di non avere responsabilità su questioni che competono al controllo della Dirección de Bosques e dello Stato: “Se emettono permessi e la guía corrispondente, noi dobbiamo considerare inevitabilmente come legale l’origine del legno”. Entrambe le imprese non hanno fornito la lista delle aziende forestali da cui si riforniscono per motivi di riservatezza e per “tutelare” la relazione con i loro fornitori.
La rotta del tannino
Ricostruire la catena di approvvigionamento del tannino non è un processo semplice perché coinvolge numerosi fornitori in un lungo e complesso processo di terziarizzazione che spesso impedisce di individuare il compratore finale. Ciò che è stato possibile ricostruire con il supporto di SOMO, Ong specializzata in ricerche su grandi aziende e multinazionali, è che il tannino di Unitan e Indunor si muove dal porto del Rio de la Plata, in Argentina, per raggiungere centinaia di destinazioni. Prima di terminare nei negozi europei, dove finisce in pelletteria di alta qualità o nei rivestimenti di automobili di alta gamma, il percorso prevede tappe intermedie come concerie o stabilimenti chimici che spesso si trovano in Paesi a medio e basso reddito come India e Bangladesh.
In Italia il tannino di Unitan e Indunor arriva nel “Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale” di cui le due imprese sono anche sponsor: si tratta di un insieme di concerie artigianali toscane tra Firenze e Pisa, che hanno l’obiettivo di promuovere la pelle conciata al vegetale, riconosciuta per la sua alta qualità.

Stando a quanto ricostruito da SOMO, tra gennaio 2022 e il 2024 uno dei principali acquirenti del tannino di Unitan è stata la Tannin Corporation, con sede negli Stati Uniti, specializzata nella produzione di sostanze per l’industria della pelle. I suoi prodotti, attraverso imprese in India che realizzano prodotti per il cuoio, arrivano fino alla Golden Chang Shoes, in Bangladesh, che fornisce marchi europei di calzature di alta gamma. Secondo la ricostruzione di SOMO, nel 2024 Indunor ha esportato dall’Argentina alla Industria de Peles Minuano, in Brasile, che produce pelli per tappezzeria e per automobili che, passando per un’ulteriore azienda in Malesia, arrivano a Mercedes. Attraverso passaggi intermedi il tannino arriva anche all’azienda messicana Suelas Wyny, specializzata nella concia e finitura della pelle: i suoi prodotti, passando per K H Exports India, azienda indiana produttrice di articoli in pelle, finiscono in vari marchi europei di abbigliamento e calzature tra cui H&M, Ecco, Gabor Shoes e Hugo Boss. La stessa ha esportato articoli in pelle a marchi di lusso nordamericani, tra cui Michael Kors. Inoltre il tannino di Indunor è stato comprato dall’azienda cinese Henan Prosper & Colomer Moda: quest’ultima ha esportato pellame destinato alla produzione di borse a Thai Binh Group in Vietnam, che a sua volta ha esportato borse in pelle a Despro, una filiale della multinazionale francese Decathlon, e a marchi americani di lusso come Coach.
Così la scomparsa di un foresta arriva ai mercati internazionali. “Gli alberi in Chaco si estraggono come se i boschi fossero una miniera. I tronchi che vediamo entrare nelle fabbriche di tannino sono secolari, nessun uomo li ha piantati”, commenta Riccardo Tiddi, fisico italiano ed ex membro di Somos Monte, collettivo di attivisti e professionisti ambientali che monitora l’uso delle risorse naturali nel Chaco, denunciando violazioni e abusi. L’Unione Europea ha emanato un Regolamento contro la deforestazione (EUDR) che ha come obiettivo impedire che prodotti legati al degrado forestale o alla deforestazione possano essere immessi sul mercato dell’UE. Ma secondo quanto ci è stato confermato da fonti della Commissione Ue, il tannino non rientra nelle materie prime incluse nel regolamento. “Sta scomparendo un bosco millenario e insostituibile, un ecosistema unico che non rivedremo mai più”.
Questa inchiesta è stata realizzata con il supporto del Journalismfund Europe
Elaborazione longform: Fabio Amato
Foto di Sofía López Mañan