La vittoria inimmaginabile
Un italiano ha vinto Wimbledon. Non solo non era mai successo in 148 anni di storia del tennis. Ma era un’idea perfino difficile da sognare fino giusto a 5 anni fa. L’erba londinese sembrava intoccabile per il movimento azzurro. Matteo Berrettini ci si era avvicinato, arrivando fino a una finale da sfavorito contro Novak Djokovic. Ma tutti sapevano che sarebbe toccato a Jannik Sinner rompere questo tabù per eccellenza. Ce l’ha fatta ad appena 23 anni, scrivendo una pagina di storia dello sport italiano. È un’impresa che segna un’epoca, uno spartiacque. Sinner era già diventato numero 1 al mondo, aveva già vinto Slam (due Australian Open e uno Us Open), aveva già conquistato due Coppa Davis e una Atp Finals. Ma niente è come Wimbledon.
La sacralità di questa vittoria assume anche il sapore della rivincita, perché arriva contro la sua nemesi per eccellenza, Carlos Alcaraz. Si è scritto tanto, troppo, di quei tre match point non sfruttati al Roland Garros. Delle cinque sconfitte consecutive contro lo spagnolo. Di un’inerzia che secondo qualcuno era cambiata. Critiche e dubbi sono stati spazzati via nella maniera più sublime possibile. Nella testa di Sinner non erano rimaste scorie, solo errori da cui imparare. Il 4-6, 6-4, 6-4, 6-4 con cui ha vinto la finale di Wimbledon in poco più di tre ore raccontano alla perfezione qual è la forza e il talento di Sinner.
Se si esclude il primo set, condizionato dalla tensione e da un servizio che ancora non aveva trovato la giusta fluidità, Sinner ha giocato la partita perfetta e ha fatto sembrare semplice persino battere Alcaraz. La chiave? È riuscito a non far mai “gasare” lo spagnolo. Il “momento Alcaraz”, quello in cui diventa improvvisamente ingiocabile, non è mai arrivato. Sinner ha voluto sempre comandare lo scambio, ha preferito sbagliare piuttosto che concedere il pallino al suo rivale. Ha commesso la bellezza di 40 errori non forzati, lo stesso numero dei vincenti. Tutto per dominare di testa il suo rivale.
Il momento decisivo del match è stato il game con cui ha vinto il secondo set. Una serie di scambi vinti “alla Alcaraz”, con recuperi mirabolanti e vincenti impensabili. Allo spagnolo subire così il gioco del suo rivale deve aver dato un fastidio insopportabile. Fino a sentirsi addirittura impotente alla fine del terzo set, quando al suo angolo ha confessato la frustrazione per un Sinner “più forte” di lui negli scambi da fondo. Forse non gli era mai capitato di provare questa sensazione: ha cercato di reagire, ma la freddezza dell’altoatesino (e un servizio ritrovato: 8 ace tutti negli ultimi due set) glielo hanno impedito. L’ultimo game, quello dei tre match point di nuovo a disposizione, Sinner lo ha vinto invece alla Sinner: glaciale, pulito, impeccabile.
È il suo stile. Incomprensibilmente a qualcuno non piace. Ma è l’unico modo che il numero 1 al mondo conosce per continuare a vincere. L’unica strada che gli ha permesso di conquistare Wimbledon: il trionfo più grande proprio nel momento in cui avevano cominciato a dubitare della sua forza.
