di Giuseppe Sciarra

La legge contro il bullismo e il cyberbullismo, la n. 71 del 2017, non basta a contenere un fenomeno sempre più preoccupante e in aumento soprattutto sul web che permette ai bulli di mascherarsi, proteggersi e attaccare in modo costante le loro vittime. La storia di Alessandro, il ragazzino di soli tredici anni di Gragnano che si è buttato dal balcone, probabilmente perché esasperato dalle minacce e dagli insulti persecutori di cinque minorenni e un maggiorenne – se si accerterà le responsabilità degli indagati – sarà l’ennesima conferma. In materia di bullismo dobbiamo ancora percorrere tanta strada per tutelare tutti quei ragazzi e ragazze che si uccidono, rispondendo con gesti disperati ed estremi a una violenza reiterata di matrice spesso delinquenziale nei loro confronti difficile da sostenere a lungo andare – sfido chiunque a farlo!

Il bullismo non è una ragazzata e chi dice il contrario forse non sa di che parla o non vuole vedere la realtà: i minori sono esseri umani in formazione, certo, ma capacissimi di gesti di grande crudeltà e a volte senza un briciolo di umanità, esattamente come un adulto. Per iniziare a intervenire in maniera incisiva contro un’emergenza seria come il bullismo, sfatiamo questo mito dei minorenni che commettono reati, a volte sminuiti come marachelle o ragazzate o che vorremmo recuperare facendogli fare attività socialmente utili che non servono a nulla, se non solo a far a credere di aver fatto la cosa giusta a chi finge di fare qualcosa sulla questione.

Da adolescente, più o meno all’età di Alessandro, ho tentato di uccidermi ingerendo dei farmaci, con conseguenziale lavanda gastrica che mi ha salvato per miracolo. Perché ho fatto quel gesto? Perché i bulli mi avevano rovinato la vita, appannando la mia lucidità mentale, inducendomi al suicidio con la loro cattiveria, il loro sadismo, la loro ignoranza e soprattutto col benestare di un sistema che era dalla loro parte e non dalla mia. Se i bulli attuano meccanismi di prevaricazione e sono violenti è perché non solo vivono in un sistema sociale che glielo permette, ma che li induce a farlo: una società aggressiva come quella occidentale si basa ancora sulla legge del più forte e sulla brutalità e ci vorranno decenni e altre battaglie per scardinarla.

Il vincente tanto osannato dal sogno americano deve essere brutale, deve rifarsi a un super io cinico e spietato: i modelli imperanti sono peggio dei modelli moralizzanti del passato perché sono fintamente liberi e sono un rimasuglio degli istinti e dei comportamenti più beceri che possa avere un essere umano figlio del neoliberismo e di un patriarcato da medioevo con cui dobbiamo fare ancora i conti. Ci sono varie forme di bullismo, alcune più soft e altre più forti: in questi ultimi casi abbiamo a che fare con delinquenti minorenni, che lo vogliamo o no, e il politicamente corretto con loro non funziona perché se si continua a essere morbidi con soggetti pericolosi – perché di questo si tratta – non si salveranno vite.

Come più volte ho scritto prevederei in casi estremi forme di carcere minorile per i bulli dove quest’ultimi scontino una pena e facciano un percorso di recupero vero che li metta di fronte a quello che hanno commesso. Purtroppo una proposta del genere trova molte resistenze e si scontra con una visione edulcorata e ingenua sui minori, indigna i benpensanti e mette in evidenza il fallimento e soprattutto le grandi responsabilità degli adulti, famiglia e scuola in primis nei confronti di bulli e bullizzati. Fatto sta che chi muore di bullismo muore per mano di una società cieca ancor prima che a causa di un bullo!

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