Approfittando anche delle sponde politiche offerte dalle destre italiane sovraniste, la Polonia riesce a mettere i Paesi dell’Ue l’uno contro l’altro e il Parlamento europeo contro la Commissione europea. Colpa di Varsavia e della posizione “penosa e contraddittoria” – il giudizio viene dal gruppo Socialista e Democratico dell’Assemblea comunitaria – espressa del premier Mateusz Morawiecki nell’aula di Strasburgo, martedì scorso 19 ottobre? No; colpa piuttosto della mancanza di coesione e di coraggio dei leader dei 27, che nel Vertice europeo di giovedì e venerdì non hanno manifestato chiaro sostegno a un’azione della Commissione contro il governo polacco per violazioni dello stato di diritto e delle norme europee, che pure sono palesi.

Di fronte agli eurodeputati, Morawiecki ha smentito ogni fantasia di Polexit: “Per noi – ha detto – l’integrazione europea è una scelta di civiltà. Noi siamo qui, questo è il nostro posto e non andiamo da nessuna parte: vogliamo che l’Europa ridiventi forte, ambiziosa e coraggiosa”. Salvo affermare, subito dopo, la sovranità della Polonia contro i “doppi standard” ed i “ricatti” di Bruxelles e negare ogni forma di solidarietà e condivisione: la partecipazione all’Unione si riduce all’incasso dei fondi strutturali e ‘post – pandemia’.

Il premier polacco è uscito dall’aula di Strasburgo tra le critiche della Commissione e dei portavoce di tutti i gruppi parlamentari ‘europeisti’, i popolari, i socialisti, i liberali, i verdi, ma incassando l’appoggio dei conservatori, di cui il suo partito è la componente principale, e dei sovranisti. Ovvia la sintonia con gli alleati di Visegrad e in particolare con l’Ungheria: Budapest, come Varsavia, chiede all’Ue “di rispettare la sovranità degli Stati membri”.

Due giorni dopo, giovedì 21, i leader dei Paesi dell’Ue si sono riuniti a Bruxelles. E lì Morawiecki ha anche potuto contare sul sostegno, non del tutto atteso, della Lituania. A spingere, invece, perché l’Ue proceda contro la Polonia sulla base dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che sanziona il mancato rispetto dei principi fondamentali dell’Unione, fra cui lo stato di diritto, è soprattutto l’Olanda, con i ‘frugali’ – i meno inclini a concedere fondi a chi non rispetta le regole – e i Paesi del Benelux, custodi dell’ortodossia comunitaria. Ma Germania, Francia e Italia premono sul tasto del dialogo e sono, quindi, riluttanti ad agire; e almeno altri cinque leader sono parsi “tentennanti” sull’ipotesi di andare allo scontro.

Il che crea i presupposti per un’azione del Parlamento europeo, dove c’è una maggioranza per agire, contro la Commissione europea che, malgrado la durezza dello scontro a Strasburgo tra Morawiecki e la presidente Ursula von del Leyen, non ha ancora applicato il regolamento sulla condizionalità dello stato di diritto, che permette all’Ue di sospendere i versamenti comunitari agli Stati membri dove lo stato di diritto è minacciato. Il regolamento è stato adottato nel dicembre scorso per impedire che i finanziamenti comunitari vadano a Paesi che non rispettano le norme dell’Ue, come la Polonia, la cui corte costituzionale afferma la superiorità del diritto polacco su quello europeo, in contrasto con i Trattati, o l’Ungheria, che persegue una “democrazia illiberale” in contrasto fin dall’enunciato con i principi dell’Ue.

Il presidente del Parlamento David Sassoli ha chiesto ai servizi giuridici della sua Istituzione d’intentare una causa contro la Commissione, che sarà immediatamente ritirata se l’Esecutivo passerà all’azione come auspica l’Assemblea. La Commissione Affari Giuridici del Parlamento s’era espressa con un voto per portare la causa davanti alla Corte di Giustizia e poi la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi ha sostenuto a maggioranza tale posizione.

Il presidente Sassoli ha ricordato: “Gli Stati dell’Ue che violano lo stato di diritto non dovrebbero ricevere i fondi comunitari. L’anno scorso, il Parlamento s’è duramente battuto per un meccanismo che garantisca questo principio. Ma finora la Commissione è stata riluttante a metterlo in pratica… L’Ue è una comunità fondata sui principi della democrazia e dello stato di diritto. Se questi principi sono minacciati in uno Stato membro, l’Ue deve agire per proteggerli.” Concetti che Sassoli ha ribadito ai leader dell’Ue, incontrandoli virtualmente prima dell’apertura, giovedì 21, del Consiglio europeo. Ma di fronte alle riluttanze dei leader dei Paesi dell’Unione, emerse al Vertice, è problematico per la Commissione procedere come auspicato dal Parlamento, anche se ha il potere di farlo. La scossa verrà, dunque, dalla Corte di Giustizia? Sì, se i giudici avranno più coraggio, o più lealtà alle leggi, dei politici.

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