La Consulta: “La legge della Toscana sul fine non è illegittima. La competenza a legiferare non è preclusa se lo Stato non provvede”
C’è un muro di competenze – forse non invalicabile – che ha portato la Corte costituzionale ad accogliere solo parzialmente il ricorso del governo contro la legge della Toscana sul fine vita, formulata seguendo le indicazioni della storica sentenza la sentenza Dj Fabo/Cappato e approvata lo scorso marzo. La disciplina del suicidio assistito incide su diritti personali, come il diritto alla vita e all’integrità fisica e le Regioni non possono introdurre o modificare i requisiti sostanziali che rendono non punibile l’aiuto al suicidio (scriminante penale), poiché tale compito spetta solo alla legge statale per garantire uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale.
Allo stesso tempo però le Regioni, però, hanno competenza concorrente in materia di “tutela della salute”. Questo permette loro di dettare norme di dettaglio e organizzative per rendere operativo quanto già stabilito dalla giurisprudenza costituzionale, assicurando tempi certi e procedure uniformi all’interno delle proprie aziende sanitarie. I giudici hanno quindi stabilito che la norma, promulgata dal presidente toscano Eugenio Gianni, non è “interamente illegittima” anche se in alcuni parti viola le competenze dello Stato.
Questo perché “contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso statale, l’esercizio di tale competenza da parte del legislatore regionale – si legge nella sentenza – non può ritenersi precluso dalla circostanza che lo Stato non abbia ancora provveduto, nonostante i numerosi inviti formulati da questa Corte, all’approvazione di una legge che disciplini in modo organico, nell’intero territorio nazionale, l’accesso alla procedura medicalizzata di assistenza al suicidio”. Nel paese in cui aumentano le richieste si suicidio assistito, ma le norme sono ancora ferme, le persone affette da malattie da cui non si guarisce e sottoposti alla perdita di autonomia, potrebbero intravedere uno spiraglio e forse cominciare ad abbandonare il ricorso alle aule di Tribunale.
Le competenze della Regione
La Corte ha ritenuto che, nel suo complesso, la legge regionale sia riconducibile “all’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute” e persegua la finalità di “dettare norme a carattere meramente organizzativo e procedurale, al fine di disciplinare in modo uniforme l’assistenza da parte del servizio sanitario regionale alle persone che – trovandosi nelle condizioni stabilite da questa Corte nella sentenza 242 del 2019 – la sentenza Dj Fabo/Cappato – così come ulteriormente precisate nella sentenza 135 del 2024 chiedano di essere aiutate a morire”.
La legge regionale della Toscana del 2025 mirava a colmare un vuoto attraverso l’istituzione di commissioni multidisciplinari nelle aziende sanitarie, la definizione di una procedura per la presentazione e la valutazione delle richieste di accesso al suicidio medicalmente assistito, l’indicazione di termini per le verifiche e la possibilità di garantire l’assistenza sanitaria necessaria, anche attraverso risorse regionali aggiuntive rispetto ai livelli essenziali di assistenza. Quindi le Regioni possono legiferare, ma solo entro un perimetro che riguarda l’organizzazione dei servizi sanitari.
La Consulta quindi specifica che per le Regioni è possibile dettare norme organizzative e procedurali, stabilendo come le aziende sanitarie locali debbano gestire le richieste di suicidio assistito, garantendo tempi certi e modalità uniformi sul territorio regionale. Possono le Regioni istituire organi tecnici perché è legittimo creare commissioni multidisciplinari incaricate di verificare se il paziente possiede i requisiti stabiliti dalla stessa Corte Costituzionale.
Possono legiferare anche senza una legge statale specifica, in quanto non devono necessariamente attendere un intervento del Parlamento se i principi fondamentali possono essere tratti dal complesso delle leggi statali già in vigore (come le norme sul consenso informato o sulle cure palliative). Infine possono utilizzare risorse proprie: una Regione può decidere di finanziare prestazioni aggiuntive con il proprio bilancio (non quello sanitario ordinario), purché non pretenda di ridefinire i livelli essenziali. Ed è in questo senso che arriva la soddisfazione del presidente della Toscana che all’Ansa dichiara che la “Consulta ci legittima a legiferare”.
Quello che non possono fare le Regioni
La Corte ha però dichiarato incostituzionali diverse disposizioni, limitatamente a specifici articoli, commi o periodi, ritenuti oltre le competenze regionali. Nello specifico si parla di articoli che attribuivano alla Regione e alle commissioni sanitarie poteri di regolazione troppo ampi dell’intera procedura. La Consulta ha censurato le norme che consentivano deleghe in passaggi decisivi e che concentravano in capo agli organi regionali un controllo complessivo sull’accesso e sull’esecuzione.
La Corte ha chiarito che le Regioni non possono “sostituirsi” allo Stato in ambiti di competenza esclusiva. Non possono “novare” la fonte ovvero non possono riprodurre in una legge regionale i requisiti di non punibilità stabiliti dalla Corte (sentenza 242/2019), perché ciò significherebbe “cristallizzare” o “impossessarsi” di una materia (ordinamento civile e penale) che spetta solo allo Stato. Non possono definire i Lea: spetta esclusivamente allo Stato stabilire quali prestazioni sanitarie debbano essere garantite uniformemente in tutto il Paese. Una Regione on può definire autonomamente cosa sia un “livello superiore” ai Lea.
Ma soprattutto le Regioni non possono modificare la natura dei diritti. Ad esempio, non possono permettere che l’istanza di fine vita sia presentata da un “delegato”, poiché per la legge statale la volontà deve essere espressa personalmente. Non possono imporre termini eccessivamente rigidi: la Corte ha dichiarato illegittimi i termini temporali (esempio “20 giorni”) troppo stringenti che impedirebbero ai medici di svolgere gli accertamenti clinici necessari con la dovuta accuratezza. La Regione può agire come un braccio operativo che organizza la macchina sanitaria per garantire un diritto già riconosciuto, ma non può agire come l’architetto dei diritti, ruolo che rimane riservato esclusivamente alla legge nazionale per evitare che i cittadini ricevano trattamenti diversi a seconda di dove risiedono
Il paradosso
È stato dichiarato incostituzionale anche l’articolo 7, comma 1, che, disciplinando il supporto al suicidio medicalmente assistito, impegna le aziende unità sanitarie locali ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico oltre all’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato. La Corte ha ritenuto che la disposizione regionale viola la competenza concorrente in materia di tutela della salute, in quanto “non si pone come attuazione nel dettaglio di preesistenti principi fondamentali rinvenibili nella legislazione statale, ma come una illegittima “determinazione” degli stessi da parte della legislazione regionale”. Un verdetto che sembra cozzare con la decisione del Tribunale di Firenze per “Libera” che ha ottenuto, dopo una lunga battaglia legale, che venisse ordinato al Cnr la creazione di un dispositivo per permetterle di azionare la somministrazione dei farmaci con gli occhi.
La dichiarazione di incostituzionalità ha anche riguardato i commi 2, primo periodo, e 3, dello stesso articolo 7. Il primo in quanto “facendo esplicito riferimento a un livello di assistenza sanitaria ulteriore, evoca comunque e illegittimamente, dal punto di vista dell’assetto costituzionale delle competenze, la categoria dei ‘livelli essenziali di assistenza’”, interferendo quindi su definizioni riservate al legislatore statale. Il secondo laddove prevede che la “persona in possesso dei requisiti autorizzata ad accedere al suicidio medicalmente assistito può decidere in ogni momento di sospendere o annullare l’erogazione del trattamento”. In caso di suicidio medicalmente assistito, infatti, “non vi è propriamente alcuna ‘erogazione’ di un trattamento che possa essere sospeso o annullato (come invece nelle ipotesi di eutanasia attiva, riconducibili nell’ordinamento italiano alla fattispecie di omicidio del consenziente), ma piuttosto un’assistenza dei sanitari a una persona che dovrà compiere da sé la condotta finale che direttamente causa la propria morte”.