Cent’anni fa i torinesi ‘bucavano’ il palazzo accanto al Regio, oggi il piano regolatore lo fa Bloomberg
Uno dei palazzi aulici di Torino è quello delle vecchie Segreterie di Stato, si affaccia sulla Piazza Castello e mette in collegamento il Palazzo Reale col teatro Regio spingendosi fino al complesso della Cavallerizza. I Torinesi lo conoscono anche come palazzo della Prefettura e del Consiglio Provinciale. Costruito nel ‘700, risale al 1885 la sua cessione da parte del Demanio alla Provincia di Torino, qualche anno dopo che la città aveva dismesso il ruolo di capitale del Regno d’Italia. I più giovani lo conoscono come il palazzo col “buco di sotto”, perché nel palazzo c’è un’apertura che collega due parti della città prima isolate dal complesso reale l’una dall’altra.
I Torinesi, e probabilmente il loro sindaco di allora, sapevano già cent’anni fa che cosa fosse la partecipazione, la pubblica utilità, la composizione di interessi divergenti attraverso il dibattito politico. Infatti, il 15 di aprile del 1912 il comitato promotore della costruzione di un sottopassaggio per collegare la zona di Torino a est della Dora con il centro della città deposita una petizione accompagnata dalle firme di circa 2000 cittadini. Non si limitano a “chiedere”, la petizione prende in esame le varie proposte di soluzione del problema che i tecnici avevano elaborato nel corso degli anni. Le analizza e indica delle preferenze: è ora di rendere accessibile anche da est il cuore della città attraversando il complesso del Palazzo Reale coi suoi giardini, il Teatro Regio e quello delle Armeria, degli Archivi e delle Segreterie di Stato.
Come sempre accade, il dibattito aveva solide radici e contrapponeva conservazionisti – propendevano per la costruzione di un tunnel sotterraneo per preservare l’assetto della piazza e del complesso reale – a innovatori radicali, che caldeggiavano la demolizione del Teatro Regio per ricostruirlo poco distante. Della demolizione del teatro se ne occuperanno prima l’incendio rovinoso del febbraio ’36, poi le bombe degli Alleati nel 1943 (la ricostruzione è del 1973). Alla fine si afferma il progetto che prevede l’attraversamento del palazzo delle Segreterie nell’angolo NordEst della piazza in modo da preservarne il salone e i servizi accessori del palazzo “bucato” da un’apertura di 15 metri per ospitare i binari del tram, il traffico veicolare e pedonale. Vantaggi: effetti scenografici sui giardini reali (alti e bassi), democratizzazione della loro fruizione con l’accesso pubblico della parte inferiore (oggi sono i giardini pubblici su corso San Maurizio). Il Consiglio Superiore per le Antichità e le belle arti che formula rilievi che non modificano la sostanza del progetto. Preventivo di spesa: 800mila lire.
Due anni dopo l’approvazione e lo stanziamento è ancora tutto fermo, così il 13/04/1915 la Gazzetta del Popolo pubblica un lungo articolo per spiegare che i ritardi erano dovuti all’indecisione del Ministero delle Finanze, invitando sindaco, Prefetto e Presidente della Provincia a esercitare pressioni per sbloccare l’opera. Due anni dopo circa i lavori sono conclusi.
Dunque l’urbanistica partecipata, la cittadinanza attiva, la pratica democratica non l’hanno inventata i consulenti della politica di oggi, quelli nutriti dagli incarichi degli enti pubblici perché facciano quello che dovrebbero fare gli amministratori e i rappresentanti eletti dai cittadini. La cittadinanza si organizzava per rappresentare interessi, comporre divergenze, esercitare pressioni sul potere, studiare soluzioni per migliorare la vita e meglio permettere il dispiegarsi dei diritti, consolidandoli.
Sono passati più di cent’anni e l’amministrazione comunale di Torino ha deciso di affidare la redazione del nuovo piano regolatore generale della città alla Fondazione Bloomberg, come se a Torino non ci fossero energie e competenze utili ad avviare una grande discussione con i torinesi, magari uscendo dal particolarismo in cui anche questa classe politica è stata allevata. Se poi queste perplessità diventano oggetto di pubblico dibattito addirittura all’interno del cerchio magico del sindaco, vuol dire che il disagio e la delusione sono piuttosto forti. Tanto più, se a coordinare i forestieri a cui viene delegata la costruzione del futuro di Torino, c’è un assessore chiamato direttamente da Milano, la valle dell’eden dell’urbanistica: si chiama Paolo Mazzoleni. Per lui è in arrivo una richiesta di rinvio a giudizio per accuse che vanno dalla lottizzazione abusiva, abusi edilizio, falso e corruzione. Stupiscono i silenzi delle istituzioni torinesi, Politecnico in testa con la sua prestigiosa Facoltà di Architettura, i grandi studi professionali e gli interessi dei cascami FIAT ancora ben piazzati.
Milano ce lo insegna, è intorno all’urbanistica che si consumano le manovre politiche locali e si dispiegano gli interessi economici. Però l’urbanistica è anche il disegno di cosa vogliamo che la città diventi, di come immaginiamo il suo sviluppo, del lavoro, dell’istruzione, del tempo libero. di tutto quello che desideriamo per viverci meglio, oggi e in prospettiva. Cent’anni fa una piccola grande cosa ha costituito un esempio di “partecipazione dal basso” che ha prodotto la fine di un grande disagio per una parte della popolazione, il miglioramento dei collegamenti pubblici e l’apertura alla città della parte in basso dei Giardini Reali, prima chiusi. Con gioia dei turisti e dei torinesi ai quali per almeno vent’anni è stata vendita l’idea che alla fine della manifattura si potesse rispondere con ristoranti, eventi e musei. Anche in questo c’entra l’urbanistica.