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Il caso Milano: “Un lavoratore su 3 non guadagna abbastanza per viverci. Il pubblico impiego in fuga. Casa e salute assorbono oltre il 50% dello stipendio”

I salari sono mediamente più alti di qualsiasi altra città, ma non basta: il report della Cgil. Il segretario Stanzione: "Serve maggiore contrattazione collettiva, anche provinciale"
Il caso Milano: “Un lavoratore su 3 non guadagna abbastanza per viverci. Il pubblico impiego in fuga. Casa e salute assorbono oltre il 50% dello stipendio”
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A Milano si guadagna mediamente molto di più di qualsiasi altra città d’Italia, ma questo non basta per garantire una vita migliore a chi lavora nella metropoli. Anzi. Il carovita, legato innanzitutto ai costi abitativi, costringe sempre più lavoratrici e lavoratori ad assumere “comportamenti difensivi”, come vivere nell’hinterland, e aumenta le disuguaglianze. Senza considerare la sempre maggiore scarsità di dipendenti pubblici disposti a svolgere le proprie mansioni nel capoluogo, schiacciati da redditi che crescono con minore intensità rispetto al privato. Insegnanti, poliziotti, medici, perfino magistrati, sono sempre meno inclini ad accettare la seconda città più grande d’Italia come propria destinazione.

“Casa e sanità assorbono oltre il 50% dei salari”

È questa la fotografia scattata dalla Camera del Lavoro metropolitana di Milano nel report Al lavoro, mentre in città aumentano le crisi aziendali e sono attualmente a rischio 800 posti di lavoro con problemi sia nell’industria manufatturiera – il 23 dicembre sono stati licenziati i 42 dipendenti di Freudenberg, che ha chiuso la sua fabbrica di Rho – che in settori tipici come il mondo della moda. Sfide di fronte alle quali il sindacato chiede maggiore contrattazione collettiva, anche a livello provinciale, e un intervento di Comune e Regione per abbassare la percentuale di stipendio che evapora tra spesa per la casa e sanitaria: “Siamo oltre il 50%”, fa di conto il segretario metropolitano della Cgil Luca Stanzione.

Uno su 3 ha reddito incompatibile con i costi

Insomma, la locomotiva d’Italia non se la passa benissimo, iniziando ad accusare il contraccolpo di una produzione industriale con il segno negativo in 32 degli ultimi 35 mesi e un modello che, sottolinea la Cgil, rischia di diventare un boomerang: “Un terzo dei lavoratori milanesi percepisce un reddito incompatibile con i costi della città – sintetizza il sindacato – e la discontinuità che caratterizza il loro lavoro non favorisce la fuoriuscita dalla condizione di marginalità che, oltretutto, deprime la crescita della domanda interna che si traduce in futuro declino”.

Il reddito in crescita: “Ma restano storici problemi”

Il reddito medio giornaliero di un lavoratore milanese è stato di 137,80 euro lordi nel 2024, superiore del 38,7% rispetto al dato nazionale e in crescita del 6,6% rispetto al 2022, spiega la Cgil basando i propri calcoli sui dati Inps. Tuttavia le buone notizie finiscono sostanzialmente qui: “Milano consolida il proprio primato reddituale realizzato negli anni, trascinando con sé gli storici problemi come la diseguaglianza, l’incompatibilità con il costo della vita, a cominciare dall’abitazione, la discontinuità e la frammentarietà del suo mercato del lavoro”, dice l’ufficio studi della Camera del Lavoro.

Gli stipendi tra gender gap e part-time obbligati

Basta scorporare i 137,80 euro per tipologia di lavoratori per comprendere come esistano picchi profondamente diversi. A iniziare dal gender gap che colpisce le 711.610 lavoratrici, che si fermano a 117 euro. Nelle categorie di inquadramento, poi, le differenze si fanno a tratti imbarazzanti: il reddito medio di un operaio è infatti di 79,60 euro, quello di un dirigente di 631,40. I lavoratori a tempo determinato hanno invece un reddito medio di 75,50 euro. I part-time in città sono 392.874 e in due terzi dei casi, sostiene la Cgil si tratta di “involontari”, cioè di persone che desiderano lavorare a tempo pieno senza tuttavia potervi accedere.

I salari aumentano, ma l’inflazione è doppia

Nel confronto tra 2022 e 2024, gli incrementi medi più alti si sono registrati tra i quadri delle aziende private, con un balzo degli stipendi del 6,8% per cento per circa 150mila dipendenti. In questa categoria è andata particolarmente bene a coloro che sono impiegati nel commercio con un aumento medio del salario dell’11,8%: si tratta, tra l’altro, dell’unica fascia che ha visto aumentare il proprio potere d’acquisto. Tutte le altre categorie di lavoratori milanesi, a prescindere dal proprio incremento medio, hanno perso capacità di spesa se si considera – come fa notare la Cgil – che la Camera di commercio cittadina ha certificato un’inflazione dell’11,1% nel periodo preso in considerazione.

La grande fuga dei dipendenti pubblici

Tra coloro che se la passano peggio ci sono i dipendenti pubblici, destinati a diventare un caso nel lungo periodo. Quella che sta prendendo forma, a giudicare dai dati del sindacato, è una vera e propria fuga da Milano. In due anni, le posizioni retributive nel pubblico impiego sono scese a 181.971, una diminuzione del 14%. A tagliare la corda sono stati soprattutto i lavoratori della scuola (-18,6%), delle amministrazioni locali (-16,5%) e del servizio sanitario (-14,1%). Ma in città non sono attrattivi nemmeno i posti di lavoro nelle forze armate e di polizia, compresi i vigili del fuoco: il calo del comparto è dell’8,3%. Contengono la discesa le sedi delle amministrazioni centrali e la magistratura (-3,6) mentre va in controtendenza l’università e ricerca con un incremento di dipendenti del 5,8%.

Per i collaboratori zero recupero dell’inflazione

“Nel 2024 la massa salariale pubblica milanese è diminuita del 10,8% rispetto allo stesso dato del 2022 – calcola la Cgil – Si potrebbe concludere che i lievi incrementi retribuiti nel pubblico impiego sono stati ampiamente autofinanziati attraverso la riduzione degli organici, generando, per lo Stato, un ulteriore significativo risparmio”. Ancor più in alto nella scala di coloro che soffrono l’aumento dei prezzi e salari compressi ci sono i lavoratori parasubordinati, un bacino di 172.503 collaboratori e professionisti nel 2024, un numero in crescita di 12mila unità rispetto al 2022: “Sono in buona parte eterodiretti e per nulla marginali nel mercato del lavoro milanese, nonostante il loro reddito, oltreché collocarsi sui valori più bassi, non registri alcun recupero sull’inflazione maturata nel periodo”, sottolinea la Cgil.

I lavoratori espulsi da svago e crescita culturale

Per il sindacato, il quadro dipinto nel report restituisce la “conferma di una Milano che non sa coniugare la crescita con l’equità e impone a chi ci lavora l’adozione di comportamenti difensivi quali l’estromissione dal contesto metropolitano di tutti i momenti che non coincidono con i tempi di lavoro”. Una massa sempre più crescente di lavoratori-pendolari, confinati nell’hinterland, insomma: “In questo modo – rimarca la Cgil – si esclude chi lavora dalle occasioni di svago e di crescita culturale che loro stessi hanno contribuito a realizzare”.

Stanzione: “Più contrattazione”

Un cul-de-sac dal quale non si verrà mai fuori? “Serve maggiore contrattazione collettiva, lo dimostrano gli aumenti nei comparti dove abbiamo rinnovato i contratti nazionali: la media è del 14%, ma l’effetto pratico è il 6% perché il resto è fiscal drag. La legge di Bilancio non risolve questo problema e il recupero dell’inflazione, che noi riusciamo a ottenere, non è percepito dai lavoratori”, sottolinea il segretario metropolitano della Cgil Luca Stanzione.

“Su casa e sanità intervengano gli enti locali”

A maggior ragione nelle grandi città, che scontano un’inflazione ancora più alta: “In questi contesti sarebbe bene pensare a strumenti come la contrattazione provinciale, che servirebbe ad esempio nel turismo. E poi c’è la politica – ammonisce Stanzione – A Milano la casa assorbe tra il 30 e il 40 per cento del salario, la spesa sanitaria il 20. Su questo devono intervenire Comune e Regione”. Anche perché, avvisa il numero uno della Camera del Lavoro, il “sistema di investimenti” di Milano è in crisi: “La produzione soffre, sopravvivono solo gli investimenti internazionali. Quando punteranno su altre aree del mondo, non esisterà più un ancoraggio territoriale degli investimenti – spiega – Per questo bisogna supportare e incentivare ricerca, cultura e produzioni televisive che hanno una relazione storica con la città”.

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