Il mondo FQ

Ti ricordi… Georg Buschner: l’uomo che guidò la DDR alla storica vittoria contro la Germania Ovest

Nato a Gera esattamente cento anni fa, il 26 dicembre 1925, ha legato il suo nome alla storia del calcio in quella che fu la DDR, alla città di Jena e ovviamente alla sua Università
Ti ricordi… Georg Buschner: l’uomo che guidò la DDR alla storica vittoria contro la Germania Ovest
Icona dei commenti Commenti

Jena non è soltanto una città universitaria: è uno dei crocevia fondamentali del pensiero critico e della filosofia, un laboratorio intellettuale che ha influenzato la Germania e il mondo. Da Marx a Hegel, da Schelling a Kant: giganti del pensiero sono passati da qui. Avranno inciso, quegli insegnamenti, anche su Georg Buschner, nato a Gera esattamente cento anni fa, il 26 dicembre 1925, e che ha legato il suo nome alla storia del calcio in quella che fu la DDR, alla città di Jena e ovviamente alla sua Università.

Papà funzionario ferroviario, mamma casalinga, vive un’infanzia serena, cominciando a giocare a calcio ed entrando già a dieci anni nelle giovanili della squadra della sua città, l’SV Gera 04. Ma è il 1936, sono anni particolari per la Germania e il giovane Georg, intanto diventato un buon difensore, deve mettere il pallone da parte e servire nella Luftwaffe. A guerra finita si ritrova in una città occupata dalle forze sovietiche: può fare poco e allora comincia a lavorare come operaio edile.

Il richiamo del calcio però torna presto, non da solo: comincia a giocare nella BSG Motor Gera e inoltre si iscrive all’Università. È qui che entra in scena Jena. L’obiettivo di Georg, in linea con quelli che propone la Germania Est, è insegnare e, se possibile, formare sportivi eccellenti. Lui si sente portato, e allora studia pedagogia, assieme a scienze motorie, ma segue anche lezioni di storia.

A Jena impara che non c’è eccellenza senza disciplina, che accanto alle doti fisiche e tecniche serve metterci rigore e che il calcio, in particolare, deve essere un percorso collettivo, mai un’esibizione individuale. Continua a giocare nel Motor Jena, diventandone un veterano, e appese le scarpette al chiodo ne diventa l’allenatore, proprio quando la squadra cambia nome e diventa Carl Zeiss Jena.

È un cambiamento epocale: il club, con la sua guida, passa dall’avere una dimensione prettamente regionale a diventare una delle forze calcistiche principali nella DDR e non solo. Dopo un secondo posto arriva la vittoria della Coppa nazionale e, in Coppa delle Coppe, il Carl Zeiss dà filo da torcere a tutte, fermandosi in semifinale contro l’Atlético Madrid, che poi avrebbe vinto il trofeo.

Forma calciatori come Peter Ducke, di cui dice: “Se fosse nato in Germania Ovest avrebbe combattuto per un posto tra le leggende come Gerd Müller”. Questo al netto di metodi di allenamento massacranti: corsa, sci di fondo, preparazioni nel gelo del Baltico. Ma nonostante i metodi rigidi, Buschner godeva di grande rispetto tra i suoi: lo chiamavano “Il Conte” per lo stile, ma era anche empatico e pronto a risolvere problemi per i suoi ragazzi.

Negli anni successivi il Carl Zeiss, sotto la guida di Buschner, consolida il proprio status. Non è più soltanto una bella realtà della DDR, ma un modello: una squadra riconoscibile per identità, organizzazione e rigore. Arrivano altri piazzamenti di vertice, presenze costanti nelle competizioni europee, una reputazione che supera i confini della Germania Est. Jena diventa un laboratorio calcistico, quasi una traduzione sul campo di ciò che l’Università è sempre stata sul piano intellettuale: metodo, continuità, lavoro.

È proprio questa credibilità a portare Buschner, non senza resistenze personali, sulla panchina della Nazionale della DDR. Lui, che avrebbe preferito restare lontano dai riflettori politici, si ritrova alla guida di una squadra che lo Stato considera uno strumento di rappresentanza. Accetta, più per necessità che per ambizione, e applica anche lì la sua idea di calcio: essenziale, collettivo, disciplinato.

Il punto più alto — e più noto — arriva nel Mondiale del 1974, l’unica partecipazione della Germania Est a una Coppa del Mondo. Il destino, o la storia, vuole che il torneo si giochi in Germania Ovest e che il girone metta di fronte le due Germanie. L’1-0 firmato da Jürgen Sparwasser non è soltanto una vittoria sportiva: è una scossa simbolica, un evento che travalica il calcio. Buschner, però, resta fedele a sé stesso. Niente enfasi, niente retorica. Alla fine della partita dichiara semplicemente: “Abbiamo vinto una partita importante. Nient’altro”. Una frase che racconta più di mille discorsi il suo rapporto con il potere e con il calcio.

Persino lo scambio di maglie, gesto naturale tra calciatori, diventa un problema: avviene lontano dalle telecamere, nei corridoi degli spogliatoi, per evitare immagini che possano sembrare troppo concilianti tra Est e Ovest. Anche lì, Buschner osserva e tace, consapevole di trovarsi in un sistema dove il pallone pesa sempre meno della politica. La sua nazionale, però, resta nella storia. Non solo per quel risultato, ma perché sotto la sua guida la DDR conquista anche il bronzo olimpico a Monaco 1972 e l’oro a Montréal 1976, il vertice assoluto del calcio est-tedesco.

Quando l’esperienza in nazionale si chiude, non senza amarezze, Buschner esce lentamente di scena. Il tempo, i sistemi politici, i confini cambiano. Resta però un filo rosso che lega tutto il suo percorso: Jena. Perché se Jena è stata la città del pensiero critico, della filosofia, dei grandi sistemi teorici, Buschner ne è stato una versione concreta, terrena. Ha tradotto l’idea di formazione dell’uomo in disciplina sportiva, ha portato il metodo dal libro al campo, dalla cattedra allo spogliatoio. E forse è proprio questo il senso ultimo della sua storia: in una città che ha insegnato all’Europa a pensare, Georg Buschner ha insegnato a una squadra — e a un Paese — a stare in piedi, insieme, dentro il gioco e dentro la Storia.

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione