Perché la politica aggressiva dell’Ue contro la Russia potrebbe portare alla disgregazione europea
Femmina penso, se penso la pace è uno dei versi più intensi di una poesia pubblicata da Edoardo Sanguineti nel 1992, La ballata delle donne. Esprime una storica verità — da Lisistrata a Jane Adams — oggi confutata dalle tre donne alla guida dell’Unione Europea: Von der Leyen, Lagarde e Kallas. In ogni occasione, la prima sollecita il nostro spirito guerriero e ci chiama alle armi. Assieme alla severità delle sanzioni, la seconda auspica una necessaria transizione alla economia di guerra. E l’Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, non ha mai nascosto la nostra volontà di disgregare la Russia; con le buone ma, se necessario, anche con le cattive. Le buone sarebbero il supporto economico, industriale e militare alla Ucraina. Le cattive: un intervento diretto e letale, reso possibile dal riarmo.
Dal 2014, quando il commissario agli esteri era Federica Mogherini, l’Ue ha voltato pagina nei confronti dell’ex Unione Sovietica. Fino ad allora, la Russia era considerata un importante partner economico, incardinata nel ristretto forum dei G8. Senza alcuna consacrazione democratica, tutto è cambiato e dalle parole si passa all’azione. “La disintegrazione della Russia in piccole nazioni non sarebbe cosa cattiva” dichiarava a nome di tutti noi la nostra portavoce, Kallas, un paio di anni fa.
È un’ipotesi per nulla ragionevole: sarebbe impensabile occupare militarmente un territorio immenso e poco ospitale come quello russo. Secondo una visione europea di tipo neocoloniale, la disintegrazione della Russia sarebbe invece un obiettivo auspicabile e fattibile. Per meglio sfruttare le risorse altrui, vale tuttora il principio inaugurato da Filippo II il Macedone: divide et impera. E l’Ue saprebbe declinare il questo motto, caro a Luigi XI di Francia, in modo sapiente, attraverso la saggia mano finanz-capitalista che la governa.
Come potrebbe cambiare la geografia politica? Gli europeisti più entusiasti fanno circolare sui social media la mappa qui sotto.

Chi vuole dare esempio di minimalismo, moderazione e realismo, si limita alla frammentazione seguita alla Rivoluzione di ottobre. La guerra civile che devastò il paese dal 1918 al 1920 fu alimentata dalle generose donazioni dell’Occidente democratico e vide il sorgere di vari staterelli (vedi figura sotto). Non mancano mappe immaginarie più complesse e ardite. Sono quelle fantasticate da chi, pur diversamente adolescente, frequenta il gioco del Risiko con assiduità. E mira a conquistare la Jacuzia.

La storia narra molte disgregazioni imperiali. L’ultimo grande impero a implodere fu quello austro-ungarico, diretta conseguenza della Grande Guerra. Era l’erede del Sacro Romano Impero, un modello che ispira gli europeisti più appassionati. La trasformazione dell’impero asburgico in austro-ungarico si era realizzata nel XIX secolo anche per tenere conto delle diverse anime al suo interno. C’erano gli austriaci (tedeschi) della Cisleitania e gli ungheresi (magiari) della Transleitania; i cechi in Boemia e Moravia e gli slovacchi; i polacchi della Galizia e i ruteni della Galizia orientale e della Rutenia; gli sloveni e i croati della Slavonia; i serbi di Voivodina e Bosnia-Erzegovina; i rumeni in Transilvania, Banato e Bucovina; gli italiani in Trentino, Trieste, Istria e Dalmazia; i bosgnacchi (bosniaci musulmani) della Bosnia-Erzegovina.
Nonostante un buon governo — dove la complessità amministrativa conciliava le diverse anime nazionali, etniche e religiose — l’Impero austro-ungarico di dissolse in brevissimo tempo. Le diversità presto sovrastarono il pur diffuso sentimento comunitario, maturato per quasi un millennio. Come insegna Robert Musil, quando le cose vanno male e l’ordine comune vacilla, riemergono fratture, egoismi, identità rigide e linguaggi vuoti.
Leggendo un saggio sulla Grande Guerra, scopro come le dinamiche e le debolezze dell’Ue abbiano non poche, inquietanti somiglianze con quelle che fiaccavano l’impero di Francesco Giuseppe alla vigilia dell’attentato di Sarajevo. Se s’imbarca in una guerra contro la Russia, in caso d’insuccesso l’Ue rischia la dissoluzione. Anche l’integrità degli stati dell’Unione potrebbe essere messa in discussione. Gli egoismi, le identità rigide e i linguaggi vuoti non mancano in Europa. La nuova carta dell’Europa post-bellica potrebbe richiamare molto da vicino quella del 1440 (vedi figura sotto), quando la pace di Westfalia (1648) era ancora un miraggio. Sarebbe un esito non troppo sgradito a chi governa le Americhe e l’Estremo Oriente.
