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Ultimo aggiornamento: 18:13

Albanese a Scanzi: “Sanzioni Usa? Mattarella e Crosetto non mi hanno protetto”

Sanzionata dagli Usa e ignorata dallo Stato italiano, la relatrice Onu denuncia attacchi giornalistici sul look invece che sul merito: “Ma che pezzenti siete?”
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No, le istituzioni italiane sono state assolutamente silenti, non hanno fatto nulla, il che è gravissimo”. Così Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, risponde al giornalista del Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, che le chiede se le più alte cariche dello Stato italiano, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro della Difesa Guido Crosetto, l’abbiano difesa a fronte delle sanzioni statunitensi che l’hanno colpita per il lavoro svolto nell’ambito del suo mandato Onu.
Albanese denuncia l’inerzia totale dello Stato italiano e dell’Unione europea. Non chiede una condivisione politica delle sue posizioni, ma una tutela istituzionale dovuta a qualsiasi cittadina italiana che svolge una funzione internazionale: “Possono condividere o meno ciò che io faccio o ciò che io dico, però mi devono tutelare in quanto cittadina italiana. Ho diritto alla protezione funzionale, non voglio neanche dire diplomatica, ma mi devono proteggere e non lo fanno”.

Accanto alla passività delle istituzioni, Francesca Albanese racconta il peso incredibile di una campagna di delegittimazione mediatica che la colpisce da mesi. A Scanzi che le cita la firma del Corriere della Sera Fabrizio Roncone, autore di due articoli sprezzanti e praticamente uguali sulla giurista, e il conduttore di La7 David Parenzo, particolarmente prolifico su X contro la relatrice Onu, Albanese risponde di non leggere più molti articoli e post che la riguardano, perché farlo “è un farsi male in modo non necessario”. Ma le accuse che circolano non sono marginali: “Mi sono sentita dire che sono la bodyguard di Hamas. Sono accuse pesanti”.
Poi lancia una sfida diretta: “Trovatemi uno straccio di prova sul fatto che io sia pagata da qualcuno per fare il mio lavoro, trovate uno straccio di prova di contatti tra me e Hamas e io mi dimetto domani”.

Il problema è il meccanismo della menzogna ripetuta: “Sono le mille balle blu, come dicevano Travaglio e Gomez: se le ripeti sette volte alla Berlusconi maniera, poi diventano delle verità”. Un sistema che Albanese individua in un attore preciso: UN Watch. “È il megafono del Ministero degli Affari Strategici israeliano – spiega la giurista – UN Watch opera a Ginevra come organizzazione non governativa accreditata presso l’Onu, ma senza trasparenza sui finanziamenti. Perché non si fa un’inchiesta su questa organizzazione? Non fa altro che impacchettare vere e proprie balle, che vengono poi rilanciate come fonti autorevoli solo perché contengono la sigla “UN” nel nome”.
E aggiunge: “Ho sentito in Italia gente autorevole dire: sì, ma l’ha detto UN Watch. Ma non è un’organizzazione che monitora, è un’organizzazione che dileggia di professione, un insieme di minion al servizio dello Stato genocida”.

Da qui un giudizio durissimo su una parte del giornalismo italiano: “Giornalisti che utilizzano UN Watch come fonte a me sembrano dei dilettanti dell’informazione. Perché mi dovrei cimentare con questa gente? Sì, la delusione c’è, ma parla della loro miseria, non definisce chi sia io come professionista – continua – La cosa che mi ha fatto ridere è che della gente che si definisce giornalista e che scrive per il Corriere della Sera, mi dedichi sette colonne, tre e mezzo delle quali parlano della mia acconciatura, della mia montatura di occhiali, di quanto muova le mani, del colore dei miei vestiti, del fatto che mi vesta in un determinato modo. Ma che pezzenti siete?“.

E sottolinea: “Perché dovrei perdere tempo con gente così quando c’è un genocidio nel mondo? Continuiamo a vederlo, non si è fermato. Usiamo la parola ‘cessate il fuoco’ per metterci a posto con la coscienza. Ma la storia ci giudicherà. È sempre successo e succederà anche questa volta”.
Alla delegittimazione Albanese contrappone il riconoscimento internazionale, come l’accoglienza ricevuta in Sudafrica, la stima della famiglia Mandela, il rispetto di chi “conta davvero”.
E conclude con un riferimento sarcastico al massacro mediatico subito per le parole rivolte al sindaco di Reggio Emilia: “In Sudafrica avevo il timore di andare per il fatto di essere europea bianca. E invece sono stata accolta come un idolo. Ma ti pare che io possa andare appresso a… com’è che si chiama? Roncone? Non dico ‘li perdoniamo’ perché sennò mi mettono alla gogna pure per quello. Non perdono più nessuno“.

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