La crisi de Il Tirreno tra tagli e “ritorsioni antisindacali”. Direttore sfiduciato perché “non ha pubblicato la notizia sulla capa di gabinetto di Giani”
Il 16 dicembre scorso, per la quarta volta negli ultimi due mesi, il quotidiano Il Tirreno non è arrivato in edicola. A bloccare la pubblicazione dello storico giornale toscano è stato un nuovo sciopero proclamato dai redattori: l’ennesimo atto di protesta messo in campo dai lavoratori contro la proprietà del gruppo Sae (Sapere Aude Editori) e la direzione della testata. “Ancora una volta – scrive il Comitato di redazione, l’organo di rappresentanza dei giornalisti – l’assemblea dei redattori si è ritrovata unita e compatta su un percorso da seguire: quello della difesa del giornale, del suo futuro, della sua territorialità, della sua storia e dei posti di lavoro”.
La crisi de Il Tirreno va avanti da anni, ma si è acuita negli ultimi mesi. A fine novembre la redazione ha sfiduciato il direttore Cristiano Marcacci, per una scelta editoriale. I giornalisti hanno contestato alla direzione la decisione di non pubblicare una notizia di rilievo regionale: il caso che ha coinvolto l’allora capa di gabinetto del presidente della Toscana Eugenio Giani, poi assessora alla Cultura, Cristina Manetti, a cui è stata ritirata la patente.
Una notizia ripresa dal resto della stampa nazionale e locale, ma assente dalle pagine del Tirreno. “La rimozione di una notizia di quel valore costituisce l’esplicitazione di una linea editoriale”, scrive il Comitato di redazione, parlando di un “silenzio narrante” destinato a pesare sulla credibilità della testata. “Si è scelto, cioè, di non dare la notizia politica dell’anno in Toscana. E allo stesso tempo, nello stesso giorno, di pubblicare un’intervista al presidente Giani. Un’intervista che, a posteriori, appare apologetica e danneggia perfino il collega che l’ha scritta, al quale non è stata data la possibilità di riaggiornarla, almeno tentando di porre al governatore una domanda sul caso”.
La sfiducia arriva al termine di una lunga stagione di conflitto con l’editore. Già da ottobre la redazione è in stato di agitazione dopo l’avvio di un procedimento disciplinare – una sospensione di cinque giorni – comminato a un componente del Cdr, accusato dall’azienda di aver diffuso messaggi interni durante una riunione sindacale. Per i giornalisti e per la Federazione nazionale della stampa si tratta invece di una ritorsione antisindacale.
Sul fondo resta una questione strutturale. Da cinque anni, da quando il Tirreno è passato da Gedi al gruppo Sae, il giornale vive tra cassa integrazione, prepensionamenti, stati di crisi, tagli ai costi e chiusura o ridimensionamento di redazioni locali. I giornalisti rivendicano di aver garantito la sopravvivenza del quotidiano attraverso sacrifici economici e carichi di lavoro crescenti, senza che a questi sia mai corrisposto un vero piano di rilancio. “Chiediamo da tempo un progetto editoriale e industriale che dia una prospettiva al giornale”, spiega il Cdr.
“Finora abbiamo visto solo tagli e un aumento insostenibile dei carichi di lavoro”. I giornalisti lamentano di aver accettato “di lavorare tra le nove e le undici ore al giorno senza ricevere straordinari. Lo stesso sforzo che ci piacerebbe vedere nelle mosse imprenditoriali dell’editore, che finora non ha dimostrato la volontà di investire per tentare un rilancio, guardando invece soltanto al bilancio, appianato anche con la vendita degli immobili del quotidiano, compresa la storica sede di Livorno”. Vendita che, raccontano i giornalisti a ilfattoquotidiano.it, “abbiamo scoperto solo perché un collega si è imbattuto in un annuncio immobiliare online. Nessuno ce l’aveva comunicato”. “Prima – proseguono – c’era la fila di giornalisti che volevano essere assunti al Tirreno. Da cinque anni a questa parte, invece, almeno 12 colleghi si sono licenziati”.
Il tutto in un clima lavorativo che i redattori definiscono “irrespirabile”, fatto anche di atteggiamenti ritenuti irrispettosi. Come nel caso delle espressioni usate da un manager del gruppo Sae che, a un tavolo ufficiale davanti ai vertici di Associazione stampa toscana, Federazione nazionale della stampa e Comitato di redazione, ha paragonato la maternità di una giornalista alla “gestazione di un elefante”. Una maternità che aveva portato la collega a più ricoveri, situazioni di cui l’azienda era a conoscenza.
A questo si è aggiunta, in estate, la chiusura della storica redazione di Viareggio per motivi di costi. Una decisione presa improvvisamente, che ha scatenato proteste, scioperi e presidi, e per cui i sindacati hanno aperto una vertenza con l’azienda. Il 13 ottobre è arrivata anche la sentenza del Tribunale del lavoro di Livorno, che ha sancito la condotta antisindacale dell’azienda per quanto concerne il mancato rispetto degli incontri periodici previsti dal contratto nazionale con il Comitato di redazione, ma non per quanto riguarda la chiusura della sede viareggina.
Nei giorni successivi sono quindi proseguite le mobilitazioni: scioperi, blocchi degli straordinari e lo stop alla produzione degli inserti. “La crisi non è solo economica, ma anche culturale e politica – spiega il Cdr -. Il giornalismo viene marginalizzato e l’informazione ridotta a un calcolo finanziario. Mancano strategie industriali che valorizzino il lavoro e il sacrificio dei giornalisti è dato per scontato. I tagli migliorano i conti solo a breve, ma impoveriscono il prodotto. Un giornale impoverito perde lettori, credibilità e funzione sociale. E allora, viene spontaneo chiedersi: perché un lettore dovrebbe alzarsi la mattina, fare la caccia al tesoro per trovare l’edicola e scegliere Il Tirreno?”.