C’è un filo rosso che collega la Napoli di Errico Malatesta ai bassifondi di New York: due storie di anarchici e sbirri
Se c’è una cosa che il potere ha sempre temuto, non è tanto l’idea della rivolta, quanto la precisione della tecnica applicata alla rabbia. C’è un filo rosso — o forse dovremmo dire nero — che collega la Napoli di Errico Malatesta ai bassifondi di New York, passando per le nebbie di Londra. È il filo della miccia, quello che brucia silenzioso prima di cambiare il corso della Storia. In libreria sono arrivati due volumi che, letti in controluce, formano un dittico straordinario sulla sorveglianza, l’utopia e il rumore che fanno i sogni quando esplodono: L’amico spagnolo, di Francesco Forlani (Exòrma) e Dinamite, di Steven Johnson (traduzione di Raffaella Vitangeli; Neri Pozza Editore).
Nel primo, Forlani (scandagliando i territori della finzione letteraria sorretta da una storiografia impeccabile) recupera l’anima di questa utopia irripetibile. Tutto parte da Londra, 1895. In una Grafton Street assediata dagli sbirri, un Errico Malatesta dal forte accento napoletano pianifica fughe mentre Olivia Rossetti osserva i compagni con la lucidità dei vent’anni. Forlani ci trasporta poi un secolo dopo, seguendo le tracce di Franck che, come un intellettuale nomade, cerca i resti di quell’amicizia incondizionata tra Malatesta e Pedro Esteve. Il viaggio ci conduce a Saragozza, tra miti letterari e la figura di Marioara, giovane rom che incarna una resistenza vulnerabile. Forlani si pone la domanda che scotta: «Come si fa a non far finire un amore?». Perché per certi uomini e certe donne — anarchiche e ribelli che vissero la libertà come atto poetico quotidiano — l’amore non era un fatto privato, ma un linguaggio politico.
Se c’è una cosa che Francesco Forlani sa fare, e che lo distingue dai passacarte della letteratura contemporanea, è la capacità di trasformare l’archivio in sangue, la polvere della Storia in carne viva. Leggere L’amico spagnolo non è un esercizio di stile, è un’immersione in apnea in quella che lui chiama «l’unica patria possibile»: l’amicizia incondizionata, quella che non chiede passaporti e non firma trattati di pace con il potere. L’idea è che la rivoluzione non sia solo un fatto di barricate, ma un’estensione del sentimento. Al centro di tutto c’è Errico Malatesta. Ma non il santino da manuale di storia: Forlani ci restituisce l’uomo dal forte accento napoletano, il “Dio d’altri tempi” che ha la capacità di farsi talpa, di scavare tunnel sotto le convenzioni borghesi.
Se Forlani analizza l’anima, Steven Johnson, giornalista di razza e narratore formidabile (finalista all’Andrew Carnegie Medal), è attratto dal meccanismo dell’utopia. In Dinamite, Johnson ci riporta nel 1863, quando Alfred Nobel perfeziona un’invenzione che, nelle intenzioni, doveva servire a scavare miniere e che invece finisce nelle mani di rivoluzionari ed estremisti. Gli Stati Uniti di inizio Novecento diventano il laboratorio di un terrore moderno: la dinamite democratizza la violenza. Ma il libro di Johnson non è solo una cronaca di attentati; è il racconto di come la polizia di New York, guidata dall’intraprendenza di Arthur Woods e dal giovane detective Faurot, smette di essere un corpo rozzo e impreparato per diventare una “scienza dell’informazione”.
È la nascita della tecnocrazia: la lotta tra il sogno anarchico di una società senza Stato e lo Stato che, per difendersi, inventa la sorveglianza moderna. Un real crime cinematografico che ci spiega come la fredda efficacia delle indagini scientifiche abbia, alla fine, vinto sulla veemenza delle passioni politiche.
Da una parte abbiamo il saggio di Johnson, che ci mostra come lo Stato abbia imparato a prevedere il delitto prima che venga commesso. Dall’altra il romanzo di Forlani, che ci ricorda che, nonostante la sconfitta storica, quella “voce-dinamite” di Malatesta in Trafalgar Square continua a crepitare come una fiamma sulla miccia.
Due libri necessari per chi vuole capire come il desiderio di un mondo nuovo sia stato schiacciato dalla sorveglianza, ma anche come quel desiderio, proprio come un amore che non vuole finire, continui a trovare il modo di eludere le frontiere.

