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The Cure a Firenze, le radici del mito in una graphic novel

Non una semplice biografia illustrata, ma una dichiarazione d’amore. Con "Morire non importa. The Cure: le radici del mito", Coltellacci e Tassaro esplorano il lato oscuro del rock
The Cure a Firenze, le radici del mito in una graphic novel
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Nel 2026 i Cure tornano in tour, protagonisti di alcuni tra i festival più importanti dell’estate — compresa una tappa italiana il 14 giugno al Firenze Rocks (info tickets). E quale occasione migliore per parlarne da una prospettiva inedita? Qualche mese fa, sempre su queste pagine, avevo incontrato Lorenzo Coltellacci e Mattia Tassaro per la loro graphic novel dedicata ai Joy Division (È mia la colpa, Feltrinelli). Oggi sono nuovamente a incontrarli, per Morire non importa. The Cure: le radici del mito, nuovo capitolo dello stesso viaggio dentro il lato oscuro del rock. Non una semplice biografia illustrata, ma una dichiarazione d’amore. Un’opera che attraversa il buio e lo stile, il dolore e l’identità. I dischi al centro del racconto sono quelli che hanno segnato l’immaginario di Robert Smith e soci: Seventeen Seconds, Faith, Pornography. Una narrazione che parla dei Cure, certo. Ma anche di chiunque si sia mai sentito fuori posto. Un’estetica. Un dolore. Un modo di stare al mondo.

Ho deciso di raccontarla nel modo che conosco meglio: nei consueti nove punti di questo blog. Cominciamo.

1. Boys Don’t Cry
Un titolo che conoscono tutti, anche chi dei Cure ha ascoltato poco. Ma qui non è solo una canzone: è una soglia. Il fumetto si apre con questo brano, prima maschera che Robert Smith si toglie. E sotto c’è una vulnerabilità nuda, resa con sobrietà. “Anche se il focus è la trilogia dark successiva a Three Imaginary Boys – dice Lorenzo: “Per noi era impossibile non partire da ciò che avviene prima – Perché è in questo momento che Robert capisce cosa vuole – e cosa non vuole – fare con la musica.”.

2. Killing an Arab
La citazione da Camus è nota, ma qui diventa qualcos’altro. Non uno slogan, non una provocazione. È il momento in cui i Cure si staccano dal punk e iniziano a cercare una voce propria. Meno rabbia, più inquietudine. I disegni rendono bene questo passaggio. “È uno snodo silenzioso — dice Mattia —. I Cure iniziano a camminare da soli, lontano dal rumore. Nel mio tratto c’è quell’inquietudine giovane di Robert Smith, come se qualcosa stesse per accadere… o forse era già accaduto”.

3. 10:15 Saturday Night
L’acqua che gocciola nel lavandino, l’orologio inchiodato sullo stesso minuto: una giovinezza sospesa, intrappolata nella consuetudine delle abitudini. Non c’è azione, ma tensione. In quel vuoto pneumatico nasce la scrittura. È lì che prende forma il distacco: dai luoghi, dalle attese, dagli altri. Lorenzo: “Robert è un ventenne sbarbato, ma con un’idea già lucida della sua musica. Timido sì, ma pronto a scegliere. Ci ha colpiti scoprire quanto fosse deciso: sapeva già cosa cercava — e non intendeva aspettare chi non riusciva a stargli dietro.”.

4. A Forest
Una delle sequenze più riuscite del libro. La foresta non è solo un luogo mentale, è un labirinto narrativo dove ci si perde insieme a Robert. Non c’è via d’uscita, e forse non c’è nemmeno il desiderio di trovarla. Ogni albero è un ricordo, ogni sentiero una possibilità. Lorenzo: “È lo spunto da cui tutto è partito. La foresta è uno spazio da vivere e da leggere. È lì che Robert deve scegliere: essere vittima o carnefice, continuare a fuggire — o restare e prendersi ciò che gli spetta”.

5. The Holy Hour
L’atmosfera si fa più cupa, quasi sacrale. Il dolore si trasfigura in rito. Le tavole si stringono, il ritmo rallenta. Non c’è enfasi né teatralità: solo la nudità di una resa. Mattia: “Qui entra un dolore che non è più solo di Robert. Una perdita non mostrata, ma percepita. Il disegno si ferma, quasi per rispetto. È un compianto silenzioso, trattenuto”. The Holy Hour è il momento in cui il dolore smette di chiedere spiegazioni e diventa memoria. Subito dopo, tutto riprende. Ma nulla è più come prima.

6. Primary
Un brano che pulsa e si contrae, avvitandosi su se stesso. Primary scava nel nervo scoperto della band, nella sua ossessione. Il fumetto lo usa per raccontare la tensione di un’epoca intermedia: Faith non è ancora Pornography, ma ha già oscurato la luce obliqua di Seventeen Seconds. Lorenzo: “Dovevamo mostrare la ricerca musicale e il tormento interiore che la band stava attraversando. Faith è l’album più intimo della trilogia, un parto viscerale che nasce dalla paura primaria di cambiare e affrontare il rischio più grande: quello di non riconoscersi più.”.

7. The Funeral Party
C’è una scena che anziché mostrare, sussurra. I contorni si sfocano, i dettagli si dissolvono. The Funeral Party accompagna uno dei momenti più lirici e dolorosi del volume. Gli autori scelgono un registro minimale, lasciando spazio al vuoto, privato della retorica. Mattia: “Ho cercato un equilibrio in cui l’immagine non imponesse un’emozione, ma la suggerisse. Come se Robert si guardasse da fuori, già consapevole di ciò che sta perdendo… o forse di ciò che sta scegliendo di lasciare andare”.

8. One Hundred Years
«It doesn’t matter if we all die». L’incipit più feroce mai inciso da Robert Smith. One Hundred Years apre Pornography come fosse una dichiarazione di intenti. Il ritmo del fumetto si fa serrato: pagine che si snodano a caduta, come una discesa lucida negli inferi. Lorenzo: “Quella frase dà anche il titolo al nostro libro. È il traguardo del tormento: più che la paura, è il cambiamento a spaventare. Pornography segna l’apice dello struggimento. Per loro, e per noi che l’abbiamo raccontato.”.

9. Cold
Tutto converge in una riflessione lucida e malinconica su ciò che i Cure sono stati — e su ciò che sono e che potrebbero ancora diventare. Il presente è denso di domande, tra ricordi, smarrimenti e possibilità. Lorenzo: “La forza dei Cure, è stata quella di creare una musica in grado di attraversare spazio e tempo”. Mattia: “Chiudere con questo brano è stato magico. Non è una fine, ma una presa di coscienza. È il momento in cui il tempo smette di essere lineare e diventa memoria, eredità. I Cure hanno attraversato il buio senza cercare davvero una via d’uscita, e forse è questo che li rende ancora così attuali.”.

Come sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify (link qui sotto). Se vuoi dire la tua, fallo nei commenti — o, meglio ancora, sulla mia pagina Facebook pubblica, dove questo blog vive davvero. Lì il dibattito continua, si contorce, deraglia…e a volte sorprende. E sì: se ne leggono di tutti i colori.
Buon ascolto e buona lettura.

9 canzoni 9 … dei Cure

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