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Pendolaria 2025, Legambiente ribadisce i gravi limiti gestionali del trasporto ferroviario regionale in Italia

Per migliorare i servizi serve una profonda riorganizzazione, non solo più soldi pubblici, senza la quale risulta velleitaria la "cura del ferro" voluta da tutte le forze politiche
Pendolaria 2025, Legambiente ribadisce i gravi limiti gestionali del trasporto ferroviario regionale in Italia
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La puntuale e approfondita analisi sul trasporto ferroviario, elaborata annualmente da Legambiente, ribadisce i gravi limiti gestionali del trasporto ferroviario regionale del nostro Paese e il gap con le “best practices” del nord Europa. Per l’associazione, “il trasporto su ferro continua a essere un tema secondario, con finanziamenti che risultano assolutamente inadeguati. Questo ha portato a un sistema di trasporto che fatica a migliorare”.

Se più del 90 per cento delle famiglie ha almeno un’auto (65 auto ogni 100 abitanti) e il tasso di motorizzazione è elevatissimo, le cause sono da ricercare nella progressiva espulsione dei redditi bassi nelle periferie, data l’assenza di nuove case popolari, e di una politica urbanistica speculativa che spinge fuori dal centro la popolazione, che si ritrova con trasporti pubblici inadeguati. E’ quindi, purtroppo, l’automobile a sopperire agli scarsi e inefficienti collegamenti del trasporto sub ed extra urbano con il centro.

Le risorse del Fondo Nazionale Trasporti, destinate al trasporto pubblico su ferro e gomma (spesa corrente), sono oggi inferiori a quelle del 2009, erose dall’inflazione e dall’alto costo energetico. Non è così per quanto riguarda gli investimenti dove, grazie al Pnrr, sono in pista 44,5 miliardi per il potenziamento della rete e altri 8,5 per la mobilità dolce.

Anche se la metà dei progetti sono stati tirati fuori da cassetti dove giacevano da decenni, la riduzione di risorse del Fondo Trasporti impatta principalmente sul trasporto locale, su autobus urbano ed extraurbano, molto meno su quello ferroviario.

C’è poi da aggiungere che i contributi pubblici devono sostenere alti costi di gestione, superiori anche del 20% rispetto a quelli di analoghe aziende del vecchio continente. L’inefficienza gestionale certo non aiuta a ridurre i costi e a migliorare i servizi, e a diminuire i fabbisogni di spesa.

I pendolari del centro nord cominciano ad avere, oltre ai soliti problemi (cancellazioni, ritardi, treni vecchi e spesso sporchi), anche quelli derivanti dal conflitto con i treni pendolari dei transiti dei treni ad Alta velocità nei nodi di Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, che portano a nuove criticità e ritardi ad entrambi i servizi.

Il rapporto non dice mai una parola sulle cause della pessima gestione operativa di Trenitalia (passeggeri regionali ed Alta Velocità), di Merci Italia (quota di mercato ridicola), di Rfi e dei continui cambi di organigrammi (spoil system) che hanno inevitabilmente delle ricadute sui servizi offerti. La lottizzazione delle nomine e i rapporti tra politica e apparato gestionale vanno ben oltre il ruolo di indirizzo e regolazione del Ministero dei Trasporti e dell’Economia.

Per migliorare i servizi serve una profonda riorganizzazione, non solo più soldi pubblici, senza la quale risulta velleitaria la “cura del ferro” voluta da tutte le forze politiche. Il volume di risorse trasferito al sistema ferroviario infrastrutturale (spesa in conto capitale) e la conseguente apertura di un migliaio di cantieri hanno mandato in crisi la circolazione dei treni su parecchie linee provocando nuovi disagi.

La spesa corrente, trasferita a Trenitalia da Stato e Regioni, è in lieve calo, mentre è in aumento quella di Trenord, l’azienda ferroviaria lombarda che da sola sviluppa il 35% del traffico pendolare italiano, che però ha il peggior tasso di puntualità.

Il gruppo Fs con Itinera partecipa e vince gare per l’affidamento e la gestione dei servizi ferroviari in Germania, in Gran Bretagna e in Grecia. Non c’è però reciprocità competitiva in Italia. In nessuna regione italiana si sono fatte le gare per l’affidamento dei servizi locali, mentre in Europa le gare sono state un successo.

La “cura del ferro”, più che un piano con precisi obiettivi da raggiungere, incremento dei passeggeri e delle merci trasportate, si è rivelata un auspicio “green” per giustificare ogni spesa, senza alcuna valutazione costi-benefici che lascia liberi tutti di proporre qualsiasi investimento.

Non sono stati raggiunti neppure modesti risultati ambientali rispetto alla spesa effettuata. E’ l’inerzia di questo sistema ferroviario (gestione) che va “curata”, se le ferrovie vogliono avere un futuro nella transizione ecologica e nel rilancio del trasporto pubblico. La struttura delle Fs, con la sua pletorica catena di comando, per avere un futuro nella transizione ecologica e nel rilancio del trasporto pubblico, deve abbandonare il modello consociativo che divora le risorse pubbliche, restituendo pochi benefici pubblici.

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