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“Pratiche illegali alla Questura di Trieste”. Quando ad alimentare il “degrado” dei migranti è il Viminale

C'è addirittura chi entra negli Uffici per presentare domanda d'asilo e si ritrova in mano un ordine di lasciare l'Italia. Prassi che per il Tribunale triestino non ha giustificazione giuridica
“Pratiche illegali alla Questura di Trieste”. Quando ad alimentare il “degrado” dei migranti è il Viminale
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Alla Questura di Trieste i tempi delle richieste d’asilo si allungano tra discrezionalità e pratiche che violano la legge. A sostenerlo sono diverse realtà e associazioni che assistono i richiedenti della rotta balcanica, raccogliendo testimonianze ma soprattutto evidenze. Tante da farci un rapporto intitolato “Accesso negato” e appena presentato alla stampa per descrivere il sistema che comprimendo i diritti condanna le persone a quel “degrado” che l’amministrazione di centrodestra lamenta e il Viminale dice di combattere. E invece sembra alimentare. Altro che “accogliere in maniera dignitosa chi arriva”, come ha rivendicato ieri la responsabile Immigrazione di Fratelli d’Italia, Sara Kelany, parlando di Lampedusa. “Per noi è un orgoglio aver accudito migranti in arrivo e abbiamo velocizzato le procedure di trasferimento, che avvengono in 24/48 ore e abbiamo raddoppiato i posti nel centro, da 300 a 600”. A Trieste basterebbe molto, molto meno.

Il diritto di chiedere asilo è un diritto umano fondamentale sancito dalla Dichiarazione universale dei Diritti umani, disciplinato dalla Convenzione ONU sui Rifugiati del 1951 e garantito dalla Costituzione italiana come dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. E’ la premessa del rapporto alla denuncia di una serie di pratiche che, solo nel 2025, hanno riguardato oltre 1.400 persone e allungato una procedura, quella della registrazione delle domande d’asilo, che per legge va risolta in pochi giorni e invece richiede fino a due mesi, impedendo di fatto l’accesso all’accoglienza. Pratiche che contrastano con la normativa vigente ma anche con l’ormai noto Patto Ue su migrazione e asilo, quello che dovrebbe risolvere la questione dei centri in Albania. Talmente atteso dal governo Meloni che l’Italia riesce a violarlo prima ancora che sia operativo. Contrariamente alla normativa, si legge infatti nel rapporto, i funzionari della Questura condizionerebbero la registrazione delle domande d’asilo al possesso di documenti o addirittura del cellulare. “Ho mostrato il telefono che la polizia serba mi aveva rotto durante il viaggio: mi hanno detto di ripararlo e di tornare col cellulare funzionante”, racconta una delle testimonianze raccolte in un video. “Ho provato a farlo riparare, ma non era possibile. La riposta? O porti il telefono o vai via”.

Altri vengono rinviati ad altre questure o invitati a raggiungere altri Paesi, il tutto in modo informale, senza mettere nulla per iscritto e senza avviare la procedura per individuare lo Stato Ue eventualmente competente a esaminare la domanda d’asilo. Una palese violazione della normativa europea, ribadita anche nel nuovo regolamento Ue sulla gestione dell’asilo (2024/1351). C’è addirittura chi entra in Questura per registrare la sua domanda e se ne esce con l’ordine di lasciare l’Italia. Pratica che lo scorso 20 novembre il Tribunale di Trieste ha censurato perché “non emerge una chiara giustificazione giuridica per la decisione assunta dalla Questura”, ordinando l’immediata registrazione della richiesta d’asilo. Così, delle decine di persone richiedenti (tra le 70 e le 140 al giorno) che si presentano nelle primissime ore del mattino, “solo una dozzina al giorno riescono ad accedere fisicamente all’Ufficio; tuttavia, spesso circa la metà non riesce a formalizzare la domanda di asilo neppure dopo l’ingresso”, si legge nel rapporto. Chi è costretto a tornare l’indomani e rimettersi in fila non matura alcuna priorità. E’ così i tempi si allungano, fino a 60 giorni.

Scritto da International Rescue Committee Italia, No Name Kitchen, Consorzio Italiano di Solidarietà, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute ApS e Diaconia Valdese (col supporto di GOAP e Linea d’Ombra), il rapporto denuncia anche l’assenza di tutela e accesso prioritario per i casi di vulnerabilità. Spesso “lasciando le persone in attesa per ore o costringendole ad allontanarsi”, nonostante le evidenti condizioni di salute. Paradossale, visto che il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno ha dedicato un Vademecum alla presa in carico delle persone vulnerabili. Del resto, prima ancora di denunciare, nel 2025 le associazioni hanno inviato 34 segnalazioni collettive e 416 PEC individuali, per un totale di 1.494 persone segnalate, compresi i casi di vulnerabilità. Il risultato? “Non vengono prese in considerazione dalla Questura”. Così anche i più fragili rimangono all’addiaccio, accampati nei magazzini abbandonati del Porto Vecchio, tra condizioni igienico sanitarie al limite e il freddo che a inizio dicembre ha ucciso Hichem Billal Magoura, un algerino di 32 anni.

Meglio gli sgomberi del Porto Vecchio. L’ultimo ai primi di dicembre, col trasferimento di una parte delle persone verso altre regioni, ma solo una parte. Complice l’imbuto in Questura, due settimane è tutto come prima. Secondo le associazioni che hanno firmato il rapporto, ad oggi sono almeno 200 le persone che dormono in strada, che si vedono rinviare l’appuntamento in Questura per formalizzare la domanda, ancora e ancora. Che provano a rivolgersi agli uffici di Gorizia o al commissariato di Monfalcone. Senza per questo riuscire a togliersi dalla strada. Oltre a chiedere la cessazione immediata delle pratiche illegittime, il report raccomanda di potenziare la registrazione delle domande di asilo, rafforzare la presa in carico delle persone vulnerabili, applicare correttamente le procedure su tratta e minori non accompagnati, spesso “allontanati senza nemmeno attivare le procedure formali di accertamento socio-sanitario previste dalla legge”, migliorare la trasparenza informativa e istituire un tavolo tecnico permanente. Sempre che i problemi si vogliano risolvere. Il Fatto ha provato a chiederlo al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che però al momento non rilascia dichiarazioni sulla situazione triestina. Quanto al Questore, per ora non intende commentare.

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