
Due attrici vittime di violenze sessuali vincono la causa contro un regista di fama, che si è mosso per anni in un clima di omertà
Un regista dal curriculum prestigioso, un teatro storico, una vicenda di violenze e ricatti sessuali che parla in modo diretto al presente: ci sarebbe stato tutto ciò che serve per aprire le prime pagine dei quotidiani o i telegiornali della sera. E invece no. La storia è emersa a fatica, a piccoli passi, confinata alla cronaca locale come se attorno al nome del regista e all’istituzione teatrale coinvolta si fosse alzata una cortina di nebbia protettiva. Quello che avrebbe potuto diventare un MeToo tutto italiano sembra destinato, ancora una volta, a infrangersi contro un muro di silenziamento.
In gioco c’è una questione centrale e drammaticamente attuale: la violenza sessuale nei luoghi di lavoro. Una delle forme maggiormente sommerse di abuso di potere che mina il diritto delle donne di realizzare ambizioni e progetti o anche solo il diritto di avere un lavoro senza doversi difendere da prestigiosi e illustri predatori.
Se ne parla soprattutto a Parma, nella città in cui i fatti sono avvenuti, ricostruiti in sede giudiziaria al termine di una lunga causa di lavoro durata sei anni e conclusasi con tre sentenze. I giudici hanno condannato un regista di chiara fama, e dal curriculum a dir poco prestigioso e la Fondazione Teatro Due: dovranno risarcire due attrici per danno biologico, morale ed esistenziale in seguito a violenze sessuali.
La lettura delle sentenze che hanno ricostruito i fatti è profondamente perturbante. Le violenze sono avvenute nel 2019, dopo l’avvio di un corso di alta formazione finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Mesi di vessazioni, umiliazioni e ricatti sessuali. “Se lo decido io, tu non metti più piede in nessun teatro d’Italia” era solito dire il regista alle giovani iscritte che avevano aderito al corso con il sogno di recitare. Quando due attrici hanno deciso di rivolgersi all’autorità giudiziaria, si sono scontrate con il limite della prescrizione: i termini per la denuncia penale erano scaduti. Ma non si sono arrese.
Ma alle spalle di quella presunta regalità si muoveva un oceano di miseria.
Il Consiglio di amministrazione del Teatro Due, nei giorni scorsi, ha respinto ogni responsabilità, annunciando di ricorrere contro la sentenza. Eppure i giudici ritengono che la direzione del teatro sapeva e avrebbe dovuto intervenire per prevenire il ripetersi delle violenze. La giudice del tribunale civile di Parma, sezione del lavoro, Ilaria Zampieri, scrive nella sentenza del 20 settembre 2025: E’ altamente inverosimile ipotizzare che, avendo tali accadimenti assunto una portata tale da essere conosciuti anche dagli Uffici staff dell’amministrazione del Teatro Due, gli stessi fossero ignorati dai vertici dell’Ente e che essendo emersi ‘plurimi indizi di gravissimi episodi accertati nella causa, i vertici del teatro avrebbero dovuto approfondire tale situazione, essendo, sotto tale profilo superfluo rilevare che il solo sospetto di condotte inappropriate avrebbe imposto di adottare cautele virtuose e di attivare, informali consultazioni che favorissero l’emersione di eventuali abusi.
Sconcerta il clima di impunità e omertà nel quale il regista ha potuto agire per anni. Durante il processo sono emerse testimonianze di altre vittime che hanno raccontato molestie subite nel 2007 e nel 2014. Secondo Differenza Donna, si tratta solo di una parte di una lunga catena di abusi che, dal 1998, coinvolgerebbe decine di attrici. Marco Deriu, sociologo e attivista dell’associazione Maschi che si Immischiano e Maschile Plurale scrive: “In una mentalità sessista il prestigio e il potere vengono facilmente tradotti in presunti diritti di controllo e di dominazione sessuale sui corpi delle donne. L’immaginario patriarcale dell’harem non è scomparso: si è modernizzato. Più ci si percepisce potenti, più si ritiene di avere una riserva di caccia. Molte forme di abuso sessuale richiamano più il godimento del potere e della dominazione che quello del piacere sessuale in quanto tale. Tale godimento si estende al controllo e all’amministrazione delle vittime nelle loro vite private anche al di fuori del proprio diretto coinvolgimento”.
Ci si chiede se il mondo dello spettacolo sia particolarmente difficile per le donne. L’associazione Amleta, fondata nel 2020 per contrastare la disparità di genere, la violenza e le molestie nel settore, ha raccolto in pochi anni dei dati eloquenti: il 93% delle vittime di violenze sessuali sono donne; i ricatti provengono soprattutto da registi (41,26%), attori (15,7%), produttori (6,28%), insegnanti (5,38%), seguiti da casting director, agenti, aiuto registi, giornalisti, tecnici e, in alcuni casi, perfino spettatori.
Ma i ricatti sessuali sul lavoro non riguardano solo il mondo dello spettacolo. Mesi fa, a Piacenza, è emersa un’altra vicenda analoga. Questa volta in ambito sanitario: Emanuele Michieletti, primario di radiologia dell’ospedale Guglielmo da Saliceto, è stato licenziato per giusta causa a fronte di accuse gravissime — violenza sessuale aggravata e atti persecutori — con 32 casi documentati in appena 45 giorni da intercettazioni della Procura. Nemmeno il mondo del giornalismo ne è immune. Nel 2015, il libro Toglimi le mani di dosso, scritto da una stagista sotto lo pseudonimo Olga Ricci, raccontò dell’ennesimo sultano che, nei panni del direttore di un quotidiano, prendeva in ostaggio i sogni di giovani donne col ricatto sessuale. Ne parlarono non più di due o tre quotidiani (io ne scrissi sul Fatto quotidiano) poi su quella denuncia calò un silenzio confortevole.
Scrive ancora Marco Deriu sulla vicenda di Parma: “Se è vero che certe forme di ignoranza possono riprodurre stereotipi e modelli sessisti, dall’altra parte la violenza molto spesso, si giova e approfitta del ruolo e della posizione dell’abusante e della sua disponibilità di amministrare risorse economiche, culturali, sociali e simboliche. Quindi una diseguale distribuzione di risorse può essere sia causa che conseguenza della violenza di genere”. E’ uno schema che si ripete: l’asimmetria di potere tra uomini e donne è la linfa che nutre le discriminazioni, ricatti e violenze sessuali che spesso non vengono denunciate perché chi ha prestigio sociale gode sempre di omertà, protezioni e tolleranza sociale mentre le vittime vengono isolate e spesso subiscono vicitim blaming. E come spesso accade, la denuncia corale e la rete tra donne porta allo svelamento e rompe il muro di silenzio che nasconde le miserie umane e sessuali del potente di turno.