Cronaca

“Sonno turbato dalla luce e paura di oggetti comuni”, la relazione dei servizi sociali sui bimbi che vivevano nel bosco

"Mostrano gioia e gratitudine, annusano i vestiti puliti e profumati e le persone che li circondano, partecipano alle attività ludiche e spesso esprimono il desiderio di restare al caldo'" scrivono i relatori nel documento

Vivere in una casa senza luce e senza acqua corrente, ha comportato che i tre fratellini, che vivevano in una capanna nel bosco di Palmoli (Chieti), abbiano paura del soffione della doccia o di un interruttore. È quanto emerge dalla relazione dei servizi sociali, confluita negli atti del Tribunale per i Minorenni e ora all’esame […]

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Vivere in una casa senza luce e senza acqua corrente, ha comportato che i tre fratellini, che vivevano in una capanna nel bosco di Palmoli (Chieti), abbiano paura del soffione della doccia o di un interruttore. È quanto emerge dalla relazione dei servizi sociali, confluita negli atti del Tribunale per i Minorenni e ora all’esame della Corte d’Appello dell’Aquila, chiamata a decidere entro il 27 gennaio sul reclamo dei genitori contro la sospensione della potestà genitoriale e l’allontanamento dei figli, attualmente collocati in casa famiglia. È dal vissuto quotidiano dei tre bambini che emerge il quadro più delicato della vicenda della famiglia anglo-australiana che viveva isolata in un bosco dell’Abruzzo, oggi al centro di un complesso procedimento giudiziario. Un documento quello dei servizi sociali, chiamati a esprimersi sul caso, che non giudica uno stile di vita, ma descrive le conseguenze concrete di un isolamento protratto nel tempo.

Secondo quanto documentato, come riportano alcuni media, i bambini avrebbero manifestato reazioni di paura e disorientamento una volta entrati in contatto con ambienti e abitudini ordinarie. “Il loro sonno è stato turbato – si legge – dalla presenza, all’interno della stanza, di oggetti di uso comune quali l’interruttore della luce e il pulsante di scarico dello sciacquone del bagno”. Un segnale, per gli operatori, di una crescita avvenuta fuori dai riferimenti quotidiani condivisi dalla maggior parte dei coetanei. Anche il rapporto con l’igiene personale si è rivelato complesso. Gli operatori sono riusciti a fare la doccia ai bambini solo la sera del secondo giorno di collocamento e senza l’uso di saponi. Uno dei fratelli ha mostrato un evidente timore del soffione della doccia, mentre i minori hanno spiegato di indossare gli stessi vestiti per un’intera settimana, cambiandoli abitualmente solo il sabato.

La relazione parla apertamente di “deprivazioni”, soprattutto sul piano relazionale ed educativo. Nei contatti con altri bambini, il disagio emergerebbe nei momenti di confronto: “Si osservano difficoltà quando si attivano paragoni sulle esperienze personali e sulle competenze, con carenze che vanno dal semplice gioco fino alle conoscenze scolastiche e generali”. Una condizione che, secondo il Tribunale, potrebbe avere ripercussioni future sullo sviluppo dei minori. L’assistente sociale Veruska D’Angelo precisa che il lavoro svolto è esclusivamente di natura tecnica e non esprime alcun giudizio sullo stile di vita della famiglia. Ribadisce inoltre che le criticità rilevate – abitative, socioeconomiche, igienico-sanitarie, socioculturali ed educativo-relazionali – sono state condivise e sottoscritte dagli stessi genitori e dal loro avvocato, che ne avrebbero quindi riconosciuto l’esistenza.

Nel nuovo contesto della casa famiglia, tuttavia, i bambini sembrano aver reagito rapidamente alle attenzioni ricevute. “Mostrano gioia e gratitudine – viene riportato – annusano i vestiti puliti e profumati e le persone che li circondano, partecipano alle attività ludiche e spesso esprimono il desiderio di restare al caldo'”. Un adattamento che gli operatori leggono come una risposta immediata a bisogni finora rimasti in secondo piano. Sul piano giudiziario, la difesa dei genitori continua a sostenere l’assenza dei presupposti di urgenza e pericolo che avrebbero giustificato l’allontanamento, ribadendo la validità dell’istruzione parentale. Ma il baricentro del procedimento, per chi si occupa della vicenda, resta la tutela dei minori. Intanto, il Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Abruzzo richiama con forza il tema della privacy, denunciando la diffusione mediatica di informazioni sensibili: “Dati su scolarizzazione, vaccinazioni e stile di vita dovevano restare negli atti giudiziari. La riservatezza dei bambini viene prima del diritto di cronaca”.