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Perché il Piano casa europeo non risolverà la crisi abitativa in Italia

Il Piano casa Ue pare più un piano di rigenerazione urbana appaltata a privati che elargiranno, bontà loro, una parte minoritaria degli alloggi in realizzazione
Perché il Piano casa europeo non risolverà la crisi abitativa in Italia
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Quello che si profila dalle bozze del Piano casa europeo del Commissario Jorgensen non appare come un Piano che possa avviare la risoluzione della grave precarietà abitativa in Europa e men che meno in Italia. Da quello che si è potuto apprendere, più che un Piano casa destinato ad affrontare le criticità derivanti dal caro affitti o dalle famiglie povere in attesa di alloggi sociali con affitti rapportati al reddito reale, appare un Piano edilizio che è solo ammantato di sociale.

Si tratterebbe di un Piano casa europeo da oltre 150 miliardi di euro all’anno, tra intervento della Bei e risorse pubbliche e private, ma anche attingendo dai fondi di coesione, InvestEu, Life, Horizon Europe e Programma del Mercato unico, con il supporto di Next Generation Eu e del Fondo sociale per il clima, per realizzare ulteriori 650mila case all’anno. Un Piano che appare più un piano edilizio di rigenerazione urbana appaltata a soggetti privati che elargiranno, bontà loro, una parte minoritaria degli alloggi oggetto di realizzazione o di recupero ad alloggi sociali, da non confondersi con le case popolari.

Eppure sono noti i dati della sofferenza abitativa: nel 2024 i costi abitativi nell’Ue hanno superato il 40% del reddito disponibile per il 9,8% delle famiglie che vivono in città e per il 6,3% di quelle nelle aree rurali. Tra il 2015 e il 2024, i prezzi delle abitazioni nell’Ue sono aumentati in media del 53%. Tra il 2010 e il primo trimestre del 2025, i prezzi degli affitti sono aumentati in media del 27,8%.

Si continua così a percorrere la strada della centralità dei privati per un Piano casa europeo (e paventato in Italia), che invece di partire dal fabbisogno reale – e da questo far trascendere le iniziative necessarie per rispondere al fabbisogno – prosegue con una impostazione che tende ad imporre alle famiglie in precarietà abitativa di adeguarsi ai programmi edilizi dei privati e della finanza immobiliare, che diventano social per uno sconto sull’affitto. Questo mentre tutta l’Unione europea è attraversata da un aumento insostenibile dei costi dell’abitare, dalla carenza di edilizia residenziale pubblica e dai fenomeni derivanti dall’impatto della turistificazione e dalla gentrificazione urbana.

In tale contesto le istituzioni europee e quelle nazionali avrebbero dovuto tracciare un percorso positivo per promuovere politiche abitative inclusive con al centro i bisogni delle persone, delle famiglie e delle giovani generazioni. Dopo mesi di dibattiti e documenti che hanno attraversato l’Ue basati sul garantire l’accesso ad alloggi dignitosi, sostenibili e a prezzi accessibili – che emergeva come una delle sfide sociali più urgenti – si è giunti a definire un Piano che parte da un presupposto errato, scambiando per alloggi sostenibili e a prezzi accessibili offerte pubblico-privato che in quanto tali devono, per essere attuate, garantire un rientro economico e un guadagno ai privati.

Peccato che questi cosiddetti alloggi sociali – e i canoni calmierati da questi proposti, derivanti da privati con apporto pubblico – sono inaccessibili a famiglie povere, ai senza fissa dimora e ai giovani, oppressi dai costi di mercato insostenibili delle residenze universitarie – giusto perché dovevano essere social – e da offerte di lavoro precario e malpagato.

Del resto oltre un milione di famiglie italiane con redditi da povertà assoluta, che rappresentano quasi il 50% di tutte le famiglie in povertà assoluta, come potrebbero pagare minimo 500-600 euro di affitto? E come potrebbero pagare questi affitti “calmierati” le centinaia di migliaia di famiglie nelle graduatorie per una casa popolare con redditi bassissimi?

Se l’obiettivo era quello di definire e realizzare un Piano casa europeo che rispondeva prioritariamente alle persone e alle famiglie povere in precarietà abitativa, dando un senso compiuto al diritto alla casa per una offerta reale e tangibile di una vita almeno abitativa stabile, e non un privilegio, dalle bozze del Piano Jorgensen ciò non si intravvede. Non è solo una occasione persa: è il continuare nell’asservimento strutturale nei confronti di privati, immobiliaristi e finanza immobiliare. Una volontà sbagliata, una proposta irricevibile.

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