
L'incontro tra Marco D'Eramo e Nadia Urbinati sulla crisi internazionale e la regressione democratica nell'era Trump a Bologna il 17 dicembre
Sta per concludersi un 2025 vero annus horribilis. Il primo anno della seconda presidenza Trump, il quarto della guerra in Ucraina, il terzo del genocidio palestinese a Gaza, perpetrato dagli israeliani di Netanyahu dopo la strage del 7 ottobre ad opera di Hamas. Vecchie guerre proseguono e nuove “fioriscono” in Sudan, in Congo, in Myanmar, tra India e Pakistan, e da poco in Venezuela (mascherata da caccia ai narcotrafficanti) e perfino tra Thailandia e Cambogia (di cui non è nemmeno chiara l’origine).
Altre annunciate sono in procinto di scoppiare, perfino nel bel suolo d’Europa a sentire i proclami delle varie triadi nostrane, i volenterosi, i baltici, e soprattutto gli alemanni, delle cui ultime gesta, insieme alle nostre camicie nere, portiamo gli indelebili segni della memoria. Non si fa altro che parlare (e fabbricare) di armamenti, leve obbligatorie, lezioni di strategia militare nelle scuole, gite nelle caserme e giochi nei carrarmati, mentre l’opinione pubblica è sempre più disorientata dalla voce greve e biforcuta della bionda premier che giura “mai un soldato italiano andrà in guerra” dimenticando però di motivare la cosa con il nostro fondamentale art. 11 della Costituzione che esplicitamente la ripudia. Il mondo sembra correre cieco sull’orlo dell’abisso e nel frattempo per spendere in armi si tagliano welfare, servizi pubblici, si negano aumenti, tranne agli evasori fiscali a cui si condona di tutto.
Perché sta andando così male? Chi lo poteva pensare anche solo cinque anni fa che la situazione internazionale sarebbe così radicalmente e pericolosamente precipitata? Solo papa Francesco – inascoltato – ammoniva che si stava prefigurando una “terza guerra mondiale a pezzi”, pezzi che ora si stanno tragicamente ricomponendo.
Il presidente Usa si fa protagonista di piani di pace per Gaza e per l’Ucraina, ma questi piani stentano a produrre risultati e comunque l’assetto che in quelle martoriate aree di guerra sembra prefigurarsi certamente non appare all’insegna del riconoscimento di pari diritti tra aggressori e aggrediti, tra potenza coloniali e popolo colonizzato ed espropriato di tutto. E non è un caso che ritorni il terrorismo in diverse latitudini, a riprova che se le tensioni non si risolvono, la stabilità e la pace restano chimere.
In questo quadro a tinte molto fosche, anche gli assetti politici alle latitudini occidentali sono attraversati da una fase di forte instabilità e di vera e propria regressione democratica. Populismi, sovranismi, nuove forme di autoritarismo, squilibri nei rapporti tra poteri istituzionali degli Stati democratici, pulsioni reazionarie, intolleranza razziale e sessuale, attacco ai diritti civili e sociali, perfino alla magistratura, smantellamento di fondamentali conquiste del welfare del secolo scorso, stanno segnando un tempo in cui le lancette dell’orologio politico cominciano a girare drammaticamente all’indietro.
Da dove sorge tutto ciò? Oggi il centro motore dell’ideologia della nuova destra al potere è a Washington, accomodato nello studio ovale, mentre si sparge in tutt’Europa e altrove, ma Trump è solo l’ultimo prodotto scaturito da una lunga gestazione che assume le sue origini in un progetto politico che affonda le radici nel tempo, perché il conservatorismo Usa ha assunto in un lungo periodo, trasformazioni di dimensioni inusitate. Se arriva a far scrivere in un documento ufficiale di strategia nazionale di sicurezza nientemeno che gli Usa puntano su quattro paesi europei, Austria, Italia, Polonia e Ungheria, per scardinare il già faticoso processo di unificazione europeo, cos’altro occorre attendersi?
C’è un testo che contribuisce con un’analisi documentata, raffinata, completa del fenomeno che ha condotto all’affermazione dell’ideologia reazionaria negli Usa e che è riuscito a diventare riferimento per tanti altri paesi che sembravano immuni da simili tendenze. Il libro s’intitola Dominio, la guerra invisibile dei potenti contro i sudditi (Feltrinelli), scritto alcuni anni fa da Marco D’Eramo, laureato in fisica, giornalista e scrittore, americanista, già penna di punta del quotidiano il manifesto e di molte altre testate. D’Eramo si confronterà su queste tematiche della crisi internazionale con Nadia Urbinati, politologa della Columbia University e testa pensante della sinistra tra le due sponde dell’oceano, nell’incontro intitolato “Libertà di non essere liberi?”. L’appuntamento, promosso dal Manifesto in rete insieme alla Fondazione Ivano Barberini, si terrà mercoledì 17 dicembre alle ore 17.30 a Bologna in via Mentana 2, ma potrà essere seguito anche in streaming a questo link.