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La politica, imperniata di propaganda, sta promuovendo ormai valori antidemocratici

Le conseguenze sono facilmente riscontrabili nelle indagini statistiche: il Rapporto Censis ci racconta di un’Italia sfiduciata politicamente e in crisi economica
La politica, imperniata di propaganda, sta promuovendo ormai valori antidemocratici
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di Francesca Carone*

“L’adattamento” è il piano simmetrico in cui la politica deve operare all’interno della collettività in base alle Leggi e alla Costituzione. La politica deve in primo luogo promuovere i valori costituzionali dell’uguaglianza e del pluralismo, del rispetto, delle pari opportunità, del diritto a vivere dignitosamente, superando i bisogni materiali e spirituali della società. In poche parole gli “operatori” della politica devono adattarsi al “mondo”, ricucire strappi generazionali e superare gap socio-culturali promuovendo diritto, democrazia e partecipazione.

La politica, a prescindere da qualsiasi colore, deve agire per il bene di tutti decentrando e promuovendo il mandato ottenuto a favore dell’intera collettività e non accentrandolo dentro i confini del colore politico e della propaganda. E’ in questo territorio che la politica può assurgere al ruolo governativo di indirizzo costituzionale con le sovrastrutture della legalità e della democrazia.
Il colore della politica deve adattarsi necessariamente alla Costituzione e a tutti i valori da essa derivanti, promuovendo leggi a favore dell’uguaglianza e del rispetto di tutti i cittadini, senza vie di fuga o compromessi impliciti che favoriscano alcuni cittadini a discapito di altri. Come le scandalose leggi “ad personam” con la conseguente deriva democratica.

La politica non deve mai contestualizzarsi nella logica del pensiero acritico del colore partitico. Essa deve invece intervenire pragmaticamente, ponendosi in primis al servizio della collettività senza ricorrere alla solita propaganda vuota e autoreferenziale. Nel contempo deve dimostrare che i contenuti e le normative promosse sono in linea con la costituzione e la legalità, prima ancora che espressione del credo politico.

L’equivoco in cui il nostro Paese è caduto risiede probabilmente nello scollamento e nel disallineamento dei valori costituzionali, legalitari, democratici dai contenuti derivanti dalla “summa ideologica” del governo di turno. Se la pace è un valore imprescindibile, ogni Paese deve opportunamente operare per la promozione di essa. Senza sconti. Senza se e senza ma. Gli slogan della politica nazionale e internazionale ci raccontano invece un’altra storia attraverso la narrazione incentrata sul binomio guerra–riarmo, declinato nello slogan “Se vuoi la pace preparati alla guerra” ossia non c’è pace senza riarmo: due termini evidentemente in antitesi e in netta contraddizione come ampiamente evidenziato dalla Chiesa.

La politica ha invece il dovere di lavorare per il dialogo, per i negoziati, per le alleanze costruendo ponti, opportunità e futuro per le nuove generazioni. E’ in questo solco che dovrebbe operare la politica partecipata: per il bene collettivo, per la convivenza civile e la promozione del pluralismo e della democrazia.

Tutta la politica oggi è invece imperniata di propaganda speculativa orientata a promuovere valori disgiunti e antidemocratici, per il bene di una ristretta collettività. Le conseguenze di questo approccio speculativo è l’orientamento delle norme giuridiche riferite a tutti i comparti dello Stato: scuola, giustizia, sanità, cultura, ecologia…

Le conseguenze sono facilmente riscontrabili nelle indagini statistiche: il Rapporto Censis ci racconta di un’Italia sfiduciata politicamente e in crisi economica. Il malessere della società si traduce tuttavia negli effetti devastanti del calo della natalità, nella solitudine e nella ristrettezza socio-economica della popolazione anziana, nella fuga dei cervelli, nei tagli alla scuola e alle università. Nella impossibilità di una visione a lungo termine da parte di milioni di famiglie attanagliate dai rincari e dalle maggiorazioni nei servizi. E poi la corruzione: “un’industria in crescita vertiginosa diventata un’industria a pieno regime, che raddoppia i suoi numeri. Le fonti aperte della stampa e del web certificano che dal 1º gennaio al 1º dicembre 2025 il Belpaese è stato attraversato da 96 inchieste su corruzione e concussione, circa otto inchieste al mese”.

Poi c’è l’eco della propaganda, urlata, grottesca e disinibita che imbianca il chiaroscuro della vera realtà succube delle ombre di una politica autoreferenziale e a senso unico. E poi l’imperversare della tempesta social-mass-mediatica che profetizza futuri dorati o rappresaglie popolari stile Masaniello. O peggio ancora celebra il dissenso telecomandato da lobby e poteri forti per dare una parvenza democratica e pluralista al dibattito e al governo di turno. E le “ballate social” del ponte sullo Stretto, della famiglia del bosco, della laurea militarizzata, dell’educazione all’affettività, del riarmo, delle accise. Passando per la strage di Gaza alla guerra in Ucraina. Tutto filtrato spesso da una narrazione monotematica che produce pericolose asimmetrie democratiche, depauperando il concetto di verità, ristabilendo assetti culturali, sociali e politici su un pericoloso pensiero unico.

Mentre la povertà dilaga e con essa il malcontento generale della gente, parallelamente si fa strada la narrazione dell’oligarchia governativa: quella di patria, famiglia e Dio, del federalismo e della Giustizia a favore dei colletti bianchi. È in atto lo sradicamento dei valori costituzionali e democratici a favore di quelli di un sovranismo frustrato dal dissenso coraggioso di una compagine culturale e politica che difende il progresso, il pluralismo, l’uguaglianza e la democrazia del nostro Paese.
Le promesse del governo fanno poi i conti con la narrazione pregressa degli stessi politici che oggi governano l’Italia: il famoso scandalo delle accise “urlato” da una Meloni popolana e le sue faccette antipresidenzialiste; il ponte sullo stretto denunciato e poi osannato da Salvini; la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri approvata dal Parlamento e contrastata da una forte compagine.

E bene sarebbe che quella famosa laurea in Filosofia richiesta per i giovani ufficiali dell’Accademia di Modena, fosse proposta ai politici italiani se non altro per accompagnarli saggiamente nell’arte di governare.

* Insegnante

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