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La madre di Alberto Trentini: “Ho aspettato la sua chiamata per il mio compleanno, l’ho attesa inutilmente”

La madre del cooperante che da oltre un anno è ostaggio di Caracas parla a Repubblica: "Non oso immaginare i pensieri e le riflessioni di mio figlio quando inizia un nuovo giorno: 'In che Paese sono nato, se permettono che io resti in cella senza colpa alcuna?', si chiederà"
La madre di Alberto Trentini: “Ho aspettato la sua chiamata per il mio compleanno, l’ho attesa inutilmente”
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Ha atteso la sua telefonata di auguri, nel giorno del suo compleanno. Ma quella chiamata non è mai arrivata. Armanda Colusso parla a Repubblica del messaggio mai arrivato da parte del figlio Alberto Trentini, il cooperante italiano di Venezia detenuto da 395 giorni nel carcere El Rodeo I di Caracas senza che nessuna accusa sia mai stata formalizzata. “Povero Alberto, si sarà illuso di poterci chiamare. Lui non dimentica mai la data del mio compleanno. Io ho atteso inutilmente quella telefonata perché avevo bisogno di sentire il timbro della sua voce e di capire come vive questa situazione così dolorosa e ingiusta”.

Solo pochi giorni fa Armanda era intervenuta a Tutta la città ne parla per sollecitare ancora una volta il governo a riportare a casa il figlio, dopo che a metà novembre aveva di nuovo sottolineato – affiancata dall’avvocata Alessandra Ballerini – l’immobilismo del governo italiano, in un’attesa diventata insopportabile. “Non sono in grado di dare una risposta esatta, anche perché probabilmente non conosciamo tutte le azioni intraprese – dice a Repubblica -. Secondo me bisogna cambiare strategia: occorrerebbe designare una persona che sappia rapportarsi con Maduro e con i suoi collaboratori, perché se dopo 395 giorni di prigionia non ci sono risultati, qualcosa non sta funzionando. Sappiamo bene che i carcerieri di Alberto sono in Venezuela e non in Italia, ma occorre convincerli a restituirci nostro figlio”.

“Questi 13 mesi di prigionia per Alberto sono stati una crudeltà quotidiana, per lui e anche per noi – aggiunge -. Non oso immaginare i pensieri e le riflessioni di mio figlio quando inizia un nuovo giorno: ‘In che Paese sono nato, se permettono che io resti in cella senza colpa alcuna?’ si chiederà. Mi fa male soltanto pensare che dolore e quanta delusione hanno segnato tutti questi mesi di prigionia e di isolamento. Sofferenze così forti minano il fisico e l’animo per sempre. Noi genitori ci sentiamo svuotati. Viviamo un’agonia che non si può descrivere. Al mattino esco in terrazza ad accarezzare lo striscione di Alberto, per salutarlo, perché all’aperto non ci sono barriere che possano trattenere i miei pensieri, che vogliono infondergli coraggio. Ogni giorno esco a prendere pane e giornale: cammino guardando per terra, perché non voglio incontrare lo sguardo felice della gente che mi passa vicino. Le nostre attese sono nel pomeriggio e nella sera, a causa del fuso orario, perché speriamo sempre in una telefonata di Alberto che poi non arriva”. “La prigionia di Alberto – continua Armanda – deve indignare gli italiani, le nostre istituzioni e i comuni cittadini, perché è costretto in carcere per così tanto tempo senza avere alcuna colpa – continua – Spero che sempre più voci si uniscano alle nostre proteste. Io, se necessario, griderò finché avrò fiato. Nessuna energia può essere risparmiata per riavere Alberto a casa”.

(immagine di repertorio)

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