L’uscita su Trump e l’approccio multilaterale: il governo Meloni davanti alla “dottrina Mattarella” sulla politica estera
Al di là del rito, delle forme, dei rispettivi ruoli, davanti al corpo diplomatico italiano, riunito nell’annuale Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori – in programma oggi e domani tra Roma e Milano – a sentire i discorsi del ministro degli Esteri e del presidente della Repubblica si colgono due linee di politica internazionale espressa dai vertici istituzionali. C’è una “dottrina Mattarella” e una posizione, espressa da Antonio Tajani che sembra più barcamenarsi che esporre una visione politica.
Il ministro degli Esteri mette l’accento, come da direttive della presidente del Consiglio, sui rapporti atlantici e sul valore “occidentale” delle alleanze per cercare di tenere unite le due sponde dell’Atlantico che, invece, su spinta di Donald Trump, tendono a divaricarsi sempre più. E, però, da questo punto di vista si pone in forma molto dialettica con il processo di pace in corso, disponendosi ad accettare compromessi e mediazioni. Dall’altra, la “dottrina Mattarella”, ribadisce saldamente l’approccio “multilaterale”, si dice insofferente per quella “disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Unione Europea” rigettando l’idea che la Ue possa essere, come nella narrazione Maga in voga a Washington, “una organizzazione oppressiva, se non addirittura nemica della libertà”. Ma su questa impostazione, tutto sommato limpida, chiude qualsiasi strada al rapporto con la Russia la cui aggressione ai danni dell’Ucraina, “con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa” non è accettabile in nessun modo. Per respingerla, anzi, Mattarella chiama in causa la Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e la Sicurezza nel continente, evento che, invece, è stato chiamato in causa da rinomati giuristi e costituzionalisti come sponda proprio per impostare invece un possibile dialogo.
Si potrebbe discutere ovviamente di quanto una diversa politica estera sia prerogativa del Quirinale che abilmente e con un tono sempre cordiale e molto sereno la spiattella davanti al governo – nella Conferenza in corso alla Farnesina, sono diversi gli ambasciatori che commentano la capacità di Mattarella di dire cose “contundenti” con la soavità che lo caratterizza. La divergenza è tanto più rilevante proprio perché esibita davanti al fulcro dell’attività diplomatica italiana, quelle 130 feluche che devono rappresentare una posizione chiara davanti ai governi di tutto il mondo. Si tratta, ovviamente, di sfumature e sottigliezze che, però, nella diplomazia internazionale costituiscono la sostanza. Mentre Tajani, con un discorso in realtà molto amministrativo e di basso profilo, invia il messaggio di derivazione berlusconiana che più gli sta a cuore – la diplomazia a sostegno delle imprese italiane, “voglio darmi l’obiettivo di raggiungere 700 miliardi di export entro il 2027” – e esalta la riforma della Farnesina con la nuova vice-segreteria generale incaricata di supervisionare proprio l’economia, è Mattarella a esporre una visione politica. Il presidente passa in rassegna, oltre l’Ucraina, “la tragedia di Gaza”, il dramma nel “Sahel e nel Corno d’Africa”, le “tensioni” che “si vanno accentuando anche in America Latina e nei Caraibi, da ultimo con il riaffacciarsi di una sorta di riedizione della cosiddetta “dottrina” di James Monroe, la cui presidenza si è conclusa esattamente due secoli fa”.
Il quadro di Mattarella serve a dare risalto al centro della sua visione, il rilievo che compete “alle istituzioni del multilateralismo e all’Unione Europea” contro la “tentazione della frammentazione” che si insinua nelle relazioni internazionali – e persino nel mondo occidentale – “con la ripresa di un metodo di ostilità che misura i rapporti internazionali su uno schema a somma zero: se qualcuno ci guadagna significa che qualcun altro ci perde”.
Mattarella ha il merito di mettere in risalto il tema della cooperazione internazionale, della difesa del diritto, importante il suo attacco alla “pretesa di imporre punizioni contro giudici delle Corti internazionali per le loro funzioni di istruire denunce contro crimini di guerra”. Le Nazioni Unite, quindi, la legalità e un approccio che vuole la “‘ricerca della pace nella sicurezza’- come ammoniva un illustre inquilino di questo palazzo, Aldo Moro”. Proprio questo tipo di citazioni fa capire che la sua “dottrina” si colloca su un pacchetto di storia e cultura politica che innerva una politica internazionale ben precisa e che affonda nelle direttive costituzionali “del valore del dialogo internazionale come via privilegiata per affermare il suo ruolo nel mondo” e nella “Costituzione materiale che ha guidato, senza discontinuità, il nostro Paese nello scenario internazionale, basandosi su pace, dialogo, multilateralismo, europeismo, legame atlantico”.
“Quegli orientamenti continuano a rappresentare, ancora oggi, un patrimonio prezioso che ci può guidare nelle nuove forme con cui si presentano i conflitti” è la linea offerta dal presidente della Repubblica direttamente agli ambasciatori. In ossequio alle “poli-crisi” internazionali, Mattarella propone loro una “poli-diplomazia”. Ma, come sottolineato, proprio questa presentazione al corpo diplomatico rende plastica la differenza tra Quirinale e governo mettendo in evidenza una dualità di posizioni istituzionali che, nelle strettoie della attualità, pongono approcci diversi alla questione ucraina. A riprova che non si tratta solo di linee politico-culturali, ma di scelte cogenti. In cui a soffrire di più è il governo. La sua posizione filo-trumpiana rende complesso il reiterato appoggio all’Ucraina senza accedere alle possibilità di mediazione e compromesso che si stanno presentando. La “dottrina Mattarella” è più limpida e anche più secca: quelle mediazioni non vanno accettate.