“Noi caregiver non siamo eroi, ma campioni di solitudine. Il caso di Corleone? Siamo invisibili, lo Stato ci riconosca come lavoratori”
Il caso di Lucia Pecoraro che ha ucciso la figlia con gravi disabilità Giuseppina Milone e poi si è tolta la vita con la stessa corda, mostra l’estrema solitudine e il fortissimo senso di smarrimento che devono affrontare ogni giorno i caregiver familiari. In Italia, tuttora, non esiste una legge che possa garantire diritti e dignità alle persone che assistono i propri familiari conviventi h24, sette giorni su sette, praticamente una vita complicatissima quasi in simbiosi. Nella prossima legge di Bilancio, ancora in via di approvazione, sono stanziate per i caregiver familiari conviventi prevalenti risorse economiche definite dalle associazioni “ampiamente insufficienti” e non vengono erogate nemmeno tutele previdenziali ai fini pensionistici oltre a non vedere riconosciuto la figura del del caregiver familiare convivente come un lavoratore a tutti gli effetti.
Gli omicidi-suicidi commessi in Italia da genitori caregiver di figli con disabilità sono un fenomeno drammatico e complesso. Secondo gli esperti, questi episodi sono spesso legati alla disperazione e all’isolamento dei caregiver, che si sentono schiacciati dalle responsabilità di cura e non vedono alternative. I caregiver familiari quasi sempre sono mamme over 40 che, in tantissimi casi da sole, devono curare il proprio familiare non autosufficiente. La Legge 112/2016, nota come “legge sul Dopo di noi”, prevede misure di assistenza e cura per le persone con disabilità grave ma non basta assolutamente.
Alcune associazioni, come Genitori Tosti in Tutti i Posti, stanno lavorando per promuovere in particolare il riconoscimento dei diritti dei caregiver delle persone con disabilità. “Quando pochi giorni prima che scoppiasse la pandemia di Covid andammo negli uffici del Ministero del Lavoro, bastò un attimo per far ammettere la complessità nel trovare risorse finanziarie adeguate per i e le caregiver familiari. Ma poi nulla venne approvato e i fatti di Corleone derivano anche da questo, sommandosi agli altri omicidi-suicidi causati dalla solitudine, dalla drammatica constatazione di non farcela più”. A denunciarlo è Giovanni Barin, vicepresidente dell’APS Genitori Tosti. “Urge un completo cambio di rotta: mancano le tutele costituzionali, servono supporti, sostegni, sollievi e risorse economiche. I Progetti di vita sono ovunque una chimera. Soprattutto”, continua Barin, “bisogna riconoscere i caregiver familiari come lavoratori”.
È di queste ultime settimane la costituzione di un gruppo spontaneo di persone, movimenti e associazioni riunite nei Caregiver Familiari Uniti per chiedere la profonda revisione del ddl Locatelli, considerato dai diretti interessati “umiliante”. “Prenderemo la parola nelle maggiori piazze italiane in occasione dello sciopero del 12 dicembre”. A commentare l’ennesima tragedia familiare è anche Teresa Bellini, referente lombarda del Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità. “Non è la prima e purtroppo non sarà neanche l’ultima tragedia di questo tipo”, dice Bellini, “se non si agisce con un piano concreto e immediato di interventi strutturali a beneficio dei caregiver familiari”. Da madre caregiver di un figlio di 34 anni sottolinea che “la maggiore fragilità esiste laddove c’è un caregiver convivente e la convivenza senza sosta può portare a stati di burn out non gestibili perché si arriva all’estremo delle forze fisiche e mentali”. Si tratta soprattutto di donne che assistono quasi h24 i propri figli con gravi disabilità intellettive, relazionali, comportamentali oltre che motorie e sensoriali. “L’abbandono e la visione disperante del Dopo di noi si uniscono a uno stato di impotenza e di paura paralizzante. I caregiver familiari”, aggiunge Bellini, “restano solitamente invisibili in un mondo che si gira da un’altra parte. Non sono degli eroi e non sono martiri ma persone i cui diritti non sono ancora stati riconosciuti e che hanno bisogno di aiuti concreti nel quotidiano in quanto vivono una condizione disumana di privazione continua. Non possiamo più aspettare”.
“Iniziamo a chiedere aiuto solo quando abbiamo il fiato corto”
Contattata da ilfattoquotidiano.it Maria Spallino, caregiver familiare e presidentessa dell’Associazione Coordinamento Familiari CDD Milano, spiega che “a volte non basta un’intera comunità a sostenere una famiglia. Figuriamoci un genitore da solo. Noi genitori di persone con disabilità tendiamo a volte a isolarci convinti di farcela e iniziamo a chiedere aiuto solo quando abbiamo il fiato corto. Altro che ‘eroi’, come alcuni ci definiscono, siamo campioni di solitudine in un mondo distratto, indifferente, la cui impronta individualistica lascia ben poco spazio all’empatia”. Una vita complicatissima sempre col fiato sul collo. “Attingiamo a tutta la forza che abbiamo sin dalla nascita di un figlio, ma con l’età ci tocca fare i conti con la nostra stessa fragilità. Giorno dopo giorno, il fantasma del ‘cosa ne sarà di lui/lei’ consuma anche il più ottimista fra noi. E spesso solo allora chiediamo aiuto e ci ritroviamo muti nel deserto sociale”. Non tutto negativo però secondo Spallino. “C’è un modo per superare la disperazione della solitudine: tendersi la mano, tutti insieme, fidarci e affidarci tessendo una solida rete di relazioni sin dall’inizio, fuori e dentro le associazioni, che ci faccia contare su un potente senso di appartenenza. Insieme è la soluzione”, afferma. “Le leggi, i fondi, i servizi nascono anche grazie alla spinta ‘dal basso’, da istanze, bisogni, sollecitazioni di intere comunità. Non lasciamo che il silenzio e la solitudine spengano la vita nostra e dei nostri figli”.
Sull’episodio interviene anche Fabrizia Rondelli, madre di un ragazzo autistico e presidente dell’associazione milanese L’Ortica, premiata con l’Ambrogino d’Oro nel 2022. “Non c’è dignità nella morte ma è l’ultima spiaggia della disperazione quando non si trovano soluzioni e soprattutto quando non si è messi in condizione di trovarle purtroppo”, dice Rondelli. “Condanno profondamente l’episodio di Corleone in quanto reputo un omicidio senza giustificazione, ma nel cuore mi rendo conto che potrei essere anch’io a trovarmi nelle medesime situazioni (agire come Lucia, ndr)”. Rondelli racconta che “sempre più spesso mi capita di sentire altri genitori caregiver che dicono che ‘se muoio porto con me anche mio figlio o mia figlia’” per il timore di lasciarli senza un’assistenza adeguata una volta scomparso il caregiver familiare convivente. Abbandono, isolamento sociale e paura per il futuro dei propri cari. Ecco una parte molto significativa della durissima vita dei caregiver familiari.