
La distanza si accorcia, ma la fotografia è chiara: il ritmo è troppo lento, e per l’Italia ancora di più. La progressione italiana è trainata quasi interamente dall’aumento della presenza femminile nei ruoli decisionali, in particolare quelli economici
Nonostante vent’anni di strategie, conferenze e piani d’azione, l’Unione europea nel 2025 continua a migliorare “con il freno tirato” sulla parità di genere. L’Italia, anche quest’anno, avanza meno degli altri. Il nuovo Gender Equality Index pubblicato dall’EIGE assegna al nostro Paese 61,9 punti su 100, uno in meno della media Ue (63,4). Un risultato insufficiente, […]
Nonostante vent’anni di strategie, conferenze e piani d’azione, l’Unione europea nel 2025 continua a migliorare “con il freno tirato” sulla parità di genere. L’Italia, anche quest’anno, avanza meno degli altri. Il nuovo Gender Equality Index pubblicato dall’EIGE assegna al nostro Paese 61,9 punti su 100, uno in meno della media Ue (63,4). Un risultato insufficiente, nonostante la crescita di quasi dieci punti nell’ultimo decennio. L’Italia non è più nelle retrovie, ma resta in affanno.
Il dato europeo registra un miglioramento complessivo: nel 2020 la media Ue era 60 punti, cinque anni prima 53. La distanza si accorcia, ma la fotografia è chiara: il ritmo è troppo lento, e per l’Italia ancora di più. L’Indice 2025, aggiornato nelle fonti e negli indicatori — compresa per la prima volta una sezione autonoma sulla violenza di genere — non cambia la sostanza: i Paesi che corrono sono altri: Svezia, Francia, Danimarca e Spagna hanno punteggi superiori a 70. La progressione italiana è trainata quasi interamente dall’aumento della presenza femminile nei ruoli decisionali, che dal 2020 guadagna 12,7 punti, soprattutto nell’ambito economico (+18,1) e sociale (+17,5). È l’unico settore in cui l’Italia recupera terreno: oggi è seconda nell’Ue per presenza femminile ai vertici economici (44% dei membri dei board è donna contro una media Ue del 34) e sale al nono posto complessivo negli ambiti della “conoscenza” e del “potere”.
Ma è un miglioramento che non modifica gli equilibri generali. Negli altri ambiti — lavoro, tempo, salute, redditi — l’Italia continua a scontare ritardi strutturali, alcuni inchiodati da oltre dieci anni. Il lavoro resta il punto più critico. L’Italia resta l’ultima in Europa sulla parità di genere sul fronte lavorativo. L’indicatore sulla partecipazione femminile è il più basso dell’Ue: 33% di occupazione equivalente a tempo pieno, contro il 53% degli uomini. Il divario si allarga nelle coppie con figli, tra le donne con minore scolarizzazione e persino nelle coppie senza figli. La vita lavorativa stimata è di 28 anni per le donne e 37 per gli uomini: nove anni di differenza, che non erano presenti nemmeno prima della pandemia. A frenare il lavoro retribuito è quello non retribuito. Tra i genitori di bambini 0-11 anni, il 41% delle donne dedica più di cinque ore al giorno alla cura, contro il 16% degli uomini. Nelle faccende domestiche il rapporto è 65% contro 28%. La conseguenza è un crollo del tempo libero, delle possibilità di formazione, di carriera e persino di salute. La fotografia economica è altrettanto netta: in Italia le donne in coppia guadagnano solo il 53% del partner, la quota più bassa dell’Ue. Gli uomini guadagnano in media il 112% in più delle partner femminili. Tradotto: per raggiungere lo stesso reddito annuo, una donna dovrebbe lavorare quasi quattro mesi in più. Il rischio di povertà riguarda il 20% delle donne occupate e aumenta nelle famiglie monoparentali: il welfare familiare non basta più a compensare le disuguaglianze del mercato del lavoro.
L’Italia è nona nell’ambito della conoscenza, ma resta sotto la media Ue nel livello d’istruzione terziaria: tra i 30-34enni solo il 38% delle donne ha una laurea, contro il 24% degli uomini. Nelle discipline STEM la quota femminile scende al 39%, in calo rispetto al 2015. Nell’ambito della salute si registra una flessione (-0,1 punti in cinque anni), dovuta al peggioramento dello stato di salute percepito. Le donne vivono più a lungo, ma con meno anni di buona salute: 48% contro 56% dopo i 65 anni. La nuova sezione dedicata alla violenza di genere restituisce un dato che pesa come un macigno: il 31% delle donne europee ha subìto violenza fisica o sessuale nella vita adulta. In Italia la percentuale è del 32%, con un 4% nei soli ultimi dodici mesi. Numeri che l’EIGE definisce “probabilmente sottostimati”, vista la difficoltà di denuncia. Nella politica italiana le quote restano ferme: le donne sono il 34% in Parlamento, il 30% nei ministeri, il 27% nelle Regioni. Percentuali che non crescono da anni, nonostante la normativa sul riequilibrio di genere nelle liste elettorali. Paradossalmente va meglio nelle società quotate, dove grazie alle quote obbligatorie le donne rappresentano il 44% dei cda.
Il quadro finale è quello di un Paese che migliora solo dove politiche pubbliche e regole di settore impongono vincoli, come nei cda, mentre perde terreno in tutto ciò che dipende dall’organizzazione sociale: lavoro, cura, redditi, conciliazione. L’Italia oggi è più vicina alla media europea rispetto al passato. Ma resta sotto la media. E soprattutto resta lontana dalla parità reale: un traguardo che, secondo le proiezioni dell’EIGE, potrebbe richiedere ancora decenni.