Amazon si accorda con l’Agenzia delle Entrate e versa 511 milioni. Per la Procura avrebbe dovuto pagare 3 miliardi
Amazon si è accordata con l’Agenzia delle Entrate. Per chiudere le contestazioni su presunte condotte illecite realizzate tra il 2019 e il 2020 pagherà 511 milioni di euro. La Procura di Milano aveva contestato una frode fiscale da 1,2 miliardi di euro sotto forma di evasione dell’Iva dovuta dai venditori cinesi che utilizzano il suo marketplace. Sommando sanzioni e interessi, aveva calcolato che il colosso dell’e-commerce avrebbe dovuto versare al fisco italiano un cifra intorno ai 3 miliardi. Invece il gruppo di Jeff Bezos se la cava con un notevole sconto. E ottiene così di chiudere il caso con il fisco, anche se la magistratura continuerà ad indagare. Nei giorni scorsi Amazon logistica e Amazon Italia transport avevano versato circa 180 milioni per una presunta precedente frode contestata nell’ambito di un’indagine dei pm Paolo Storari e Valentina Mondovì sui serbatoi di manodopera: le società rischiavano la misura interdittiva del divieto di pubblicità.
Come rivelato da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, a settembre in Procura si era tenuta una riunione con l’Agenzia delle Entrate a cui irritualmente aveva partecipato anche il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Riunione durante l’Agenzia – rappresentata dal direttore Vincenzo Carbone – ha argomentato di ritenere sufficiente il versamento di una cifra inferiore rispetto a quella ipotizzata dai pm, che hanno indagato tre manager per il reato di dichiarazione fraudolenta.
Nel mirino degli inquirenti milanesi, in particolare, c’era l’algoritmo predittivo di Amazon che, secondo le accuse, non tiene in considerazione gli obblighi tributari in capo a chi mette in vendita sul marketplace in Italia merce di venditori extraeuropei, in questo caso prevalentemente cinesi. Il decreto legge 34/2019 ha infatti introdotto obblighi fiscali per la vendita di beni tramite piattaforme digitali a cui devono attenersi i soggetti passivi che facilitano “le vendite a distanza di beni all’interno dell’Unione europea” tramite “interfaccia elettronica”. Secondo quella norma il “soggetto passivo” è “considerato debitore d’imposta” per le “vendite a distanza” di cui “non ha trasmesso”, o ha “trasmesso in modo incompleto”, una serie di dati sui fornitori. Fra questi, il numero totale delle unità vendute in Italia, l’ammontare complessivo dei prezzi di vendita o il prezzo medio di vendita. Dal 30 giugno 2021 l’Italia ha invece adottato la direttiva Ue 2017/2455 sull’imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni di attuazione.
“Questo accordo riflette il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le autorità italiane”, sostiene Amazon in una nota. “Ci difenderemo con determinazione rispetto all’eventuale procedimento penale, che riteniamo infondato. Siamo tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese. Negli ultimi 15 anni abbiamo investito oltre 25 miliardi di euro in Italia, dove impieghiamo direttamente più di 19.000 persone”. Poi il contrattacco: “Contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono sull’attrattività dell’Italia come destinazione di investimento”.